Nella storia di Roma è raro incontrare una figura di imperatore come quella di Publio Elio Adriano, che incarnò la diversità rispetto ai suoi predecessori per abitudini e carattere: introverso e acculturato, sensibile e gioviale, detenne il governo di Roma e dei suoi immensi territori dal 117 al 138 d.C.
Publio Elio Traiano Adriano è stato un imperatore della dinastia antonina: Nerva, Traiano, Adriano, Antonino, Marco Aurelio, Commodo. Sulla nascita di Adriano le fonti non concordano. Dione Cassio afferma che Adriano nacque a Italica, a 7 km da Siviglia, il 24 gennaio 76 d.C.. La sua famiglia era originaria della città picena di Hadria, l’attuale Atri, ma si insediò a Italica subito dopo la sua fondazione a opera di Scipione l’Africano. Il padre, Publio Elio Adriano Afro, era nipote di Traiano, ma in Senato la sua voce non aveva mai contato. La madre, Domizia Paolina, era originaria di Cadice.
Adriano era un uomo molto alto, di corporatura muscolosa e grande resistenza fisica. Era un camminatore instancabile, eccellente cavaliere, provetto tiratore d’arco e amante della caccia. Andava sempre a capo scoperto, con il sole o con la neve; aveva maniere semplici e modi spartani, frugale nel cibo e instancabile nei viaggi. Possedeva una memoria prodigiosa ed era molto affabile e piacevole nel colloquio. Aveva poco dell’aspetto classico romano, con viso lungo, naso greco e capelli folti e ricci. Fu il primo tra gli imperatori romani a portare la barba per seguire un’usanza greca.
Traiano, non avendo avuto figli, divenne di fatto il tutore del giovane dopo la morte dei suoi genitori; d’altra parte tra i due c’era un legame di parentela. Ulpia, infatti, nonna di Adriano, era sorella del padre di Traiano. La moglie di Traiano, Plotina, lo aiutò notevolmente trattandolo come un figlio. Inoltre sembra sia stata lei a spingerlo a sposare Vibia Sabina, figlia di Matidia Maggiore, nipote di Traiano. Il matrimonio avvicinò ulteriormente il futuro imperatore alle stanze del potere, grazie anche agli ottimi rapporti intrattenuti con la suocera Matidia.
Per il resto il matrimonio fu un fallimento; il dissapore tra Adriano e Sabina era palese nell’impero, ciò non toglie che in moltissime monete dell’epoca i due coniugi appaiano come modelli di coppia perfetta. Comunque il matrimonio si interruppe. I due non ebbero figli e Adriano non ebbe figli neanche in seguito poiché non ebbe più relazioni con donne, ma per via della sua omosessualità, solo relazioni sessuali con uomini.
Al contrario del suo predecessore, Adriano non fu mai adottato ufficialmente, tramite la presentazione in Senato. Su questo punto l’Historia Augusta riporta diverse teorie, una delle quali vorrebbe il suo avvento al potere come conseguenza di una presunta nomina effettuata da Traiano morente. L’Historia sostiene come probabilmente si sia trattato di una messinscena organizzata da Plotina, che avrebbe orchestrato abilmente l’operazione, d’accordo con il prefetto del pretorio Attiano. La questione, in realtà, appare assai più complessa. Pare difficile che Adriano possa essere giunto al principato grazie agli intrighi di Plotina e di Attiano.
L’impero di Adriano iniziò male a causa dell’esecuzione di quattro senatori (Palma, Celso, Nigrino e Lusio Quieto), avvenimento che segnò la rottura tra Adriano e il Senato. Un’ipotesi plausibile è che i quattro consoli furono uccisi su ordine di Attiano, il precettore di Adriano e al tempo prefetto del pretorio, forse con l’avallo di Plotina; d’altra parte Cassio Dione sosteneva che Plotina amava Adriano e che ella avrebbe fatto di tutto per proteggerlo.
L’ipotesi potrebbe essere confermata dal fatto che Adriano non si macchiò mai di alcun omicidio politico se non di quello di Serviano, che negli ultimi anni della vita di Adriano mise in pericolo le sue decisioni in termini di successione. Ciò detto è abbastanza evidente che i quattro senatori ordirono un complotto, ben architettato prima che Adriano salisse al potere, e che il complotto rientrasse in uno scontro violento tra fazioni politiche opposte; i quattro consoli erano generali esperti che trovavano la loro realizzazione nella politica militarista di Traiano, politica venerata a Roma perchè ridestava gli istinti di conquista della città.
Alcuni coni monetali attesterebbero, in realtà, il titolo di Caesar per Adriano in un periodo compreso tra il 114 e il 117. Sulla scia di tali elementi, quindi, l’adozione di Adriano apparirebbe meno offuscata da dubbi. Tuttavia la ratifica da parte dell’esercito, che acclamò il nuovo Imperatore, chiuse la questione. Traiano aveva sempre badato a tenersi buoni i senatori; se a ciò si aggiunge che Traiano era un convinto guerrafondaio e che, con lui, Roma aveva ritrovato il suo istinto di conquista, si possono ben comprendere i buoni rapporti tra Imperatore e Senato.
Inoltre, Traiano aveva saputo tessere ottimi rapporti con uomini potenti come Plinio il Giovane e Tacito il cui appoggio non era cosa di poco conto. Il mondo era quasi perfetto se non fosse stato per l’improvvisa morte di Traiano che lasciava in sospeso gravi problemi come la guerra con i Parti, le difficoltà di difendere i confini sul Reno e sul Danubio, le rivolte della Giudea, il problema di sfamare un milione di cittadini romani; si trattava di rifornire Roma di qualcosa che oscillava tra le 300.000 e le 400.000 tonnellate di grano all’anno.
Adriano ruppe con l’atteggiamento militarista e votato alla conquista dei suoi predecessori; egli riteneva che l’Impero Romano stava implodendo a causa delle continue pressioni ai confini: Britannia, Reno, Danubio, Eufrate, Giudea, Egitto, Mauritania erano una preoccupazione costante per l’Impero. Adriano credeva che il tempo dell’espansionismo era esaurito perchè Roma non disponeva più dei mezzi necessari e le sue forze si esaurivano nel solo mantenimento dell’ordine; ma questa situazione i Romani rifiutavano di accettarla.
Non si può sostenere che Adriano abbia avuto ragione. Gli storici riguardo ciò sono divisi e molti studiosi attribuiscono ad Adriano la responsabilità della decadenza dell’Impero. Il pensiero di Adriano era fortemente condizionato da tre tragici momenti della storia espansionistica romana, quando Marco Licinio Crasso condusse alla morte più di ventimila legionari, inseguendo nel deserto siriaco l’esercito dei Parti, oppure quando, sotto il principato di Augusto, un esercito di 20.000 uomini composto da tre legioni, sotto il comando di Publio Quintilio Varo, fu massacrato nella selva di Teutoburgo, oppure quando le legioni Fulminata e Scythica al comando del legato Lucio Cesennio Peto, furono sterminate a Rhandeia da un esercito parto-armeno. Lo stesso Traiano aveva dovuto abbandonare la folle idea di abbattere l’Impero dei Parti.
Adriano impose al Senato la necessità di assicurare all’impero un lungo periodo di pace per riorganizzare lo stato, rafforzare i confini, romanizzare le popolazioni sottomesse, omogeneizzare l’impero con i due fari della lex romana e della cultura greca, addestrare le legioni a compiti difensivi; durante il principato di Adriano le porte del tempio di Giano rimasero chiuse. Adriano non ebbe sostegno dagli storici suoi contemporanei. Questi facevano riferimento al Senato che per cultura e per interessi economici non approvava la politica pacifista di Adriano. Svetonio, Plinio il Giovane, Tacito riportano un’immagine negativa di Adriano.
Già nel 117 Adriano mostrò quali fossero le sue intenzioni: le prime azioni diplomatiche furono la liberazione dell’Armenia e la creazione di uno stato indipendente e vassallo e la pace con Osroe, imperatore dei Parti; Adriano sapeva che i Parti temevano i romani e i romani temevano i Parti e che da questa reciproca paura poteva scaturire la pace. Sembra di rivedere lo stato di Guerra Fredda tra Unione Sovietica e Occidente dopo la seconda guerra mondiale. Entrambi i popoli erano, inoltre, intenzionati a riaprire i traffici con l’Oriente. Adriano sapeva di poter soggiogare intellettualmente Osroe e di poter corrompere i vari Satrapi che, come i senatori di Roma, avevano convenienza a mantenere lo stato di belligeranza. Da quelle trattative, con la restituzione ai Parti della Mesopotamia, ne risultò una pace che durò fino all’imperatore Lucio Vero (165 d.C.).
Ma il carattere di Adriano era anche fortemente condizionato dalla sua omosessualità. Nel 166 d.C. in Bitinia, Adriano conobbe un ragazzo di nome Antinoo, che amò fino alla morte del giovane.

Antinoo
Probabilmente fu proprio la sua omosessualità a renderlo meno incline alle conquiste militari e più sensibile ad ampliare, quando possibile, i livelli di tolleranza. Si fece promotore di una riforma legislativa per alleggerire la posizione degli schiavi, togliendo ai loro padroni il diritto di vita o di morte e stabilendo pene più severe contro i padroni che maltrattavano i servi. Anche nei confronti dei cristiani mostrò maggiore tolleranza dei suoi predecessori. Di quest’ultima questione rimane testimonianza, intorno all’anno 122, in un rescritto indirizzato a Gaio Minucio Fundano, proconsole della provincia d’Asia. In esso l’Imperatore, a cui era stato richiesto come comportarsi nei confronti dei cristiani e delle accuse a loro rivolte, rispose di procedere nei loro confronti solo in ordine ad eventi circostanziati emergenti da un procedimento giudiziario e non sulla base di accuse generiche. Infatti, obbligò gli accusatori dei cristiani all’onere della prova.
Appena il suo potere fu sufficientemente consolidato, Adriano intraprese una serie di viaggi in tutto l’Impero, allo scopo di rendersi conto di persona delle esigenze e assumere i provvedimenti necessari per rendere il sistema difensivo efficiente. L’esercito era molto cambiato, soprattutto alle frontiere più tranquille, dove regnavano la corruzione, il lusso e i piaceri. Adriano dette un ottimo esempio ai soldati romani durante i suoi viaggi: marciava a piedi o cavallo con qualsiasi condizione metrologica, parlava attentamente con i soldati ed ascoltava le loro necessità, non indossava abiti o armature sfarzose ma soltanto la spada dall’impugnatura d’avorio che lo distingueva dagli ufficiali. Proibì l’ingresso negli accampamenti militari ai venditori e alle prostitute. Come avvenne per Giulio Cesare, il quale però era bisessuale con preferenza per le donne, i suoi soldati, nonostante l’avversione dei Romani per l’omosessualità, non fecero caso a questa sua predilezione, ma lo seguirono per le sue qualità politiche.
Adriano in politica estera seguì la politica di pace di Augusto e di Tiberio. La situazione era difficile: la rivolta dei Parti e dei Sarmati, le rivolte nella Giudea, in Armenia, in Mauritania e in Scozia, mettevano a dura prova il sistema militare romano. Adriano restrinse perciò i confini, munendoli di difese e presidiandoli con un esercito forte e disciplinato. Costruì fortificazioni e linee difensive. Riportò il confine dell’impero all’Eufrate. L’Armenia, da Traiano ridotta a provincia, fu di nuovo innalzata a principato sotto il protettorato romano, ma sorsero liti tra il nuove re e Farasmane II, re degli Iberi, che invase e devastò la Media; Farasmane poi si recò a Roma a presentare le scuse all’Imperatore, ma l’Armenia rappresentava ancora un pericolo. L’Assiria e la Mesopotamia furono sgombrate. Partamasate fu deposto dal trono partico ed eletto re degli Osroeni; la Parzia ritornò sotto Cosroe e a costui fu restituita la figlia. Questa politica provocò un grave malcontento nell’aristocrazia provinciale.
Fu in seguito a uno di questi viaggi che Adriano, nel 122, decise di costruire un muro lungo ottanta miglia (il Vallo di Adriano) per separare i Romani di Britannia dai barbari provenienti dalla Scozia. A tale fine Adriano designò un nuovo legato nella persona di Aulo Platorio Nepote, al quale, con il rafforzo della VI Legione Victrix, affidò l’incarico della costruzione del muro. Il muro disponeva di un’insieme di avamposti e torrette di avvistamento, strade di transito, accampamenti, fortini e fossati, che integravano il muro vero e proprio. Il nome è ancor’oggi talvolta utilizzato per indicare il confine tra Scozia e Inghilterra. Una porzione del vallo è ancora esistente, soprattutto nella parte centrale. Il Vallo di Adriano è divenuto patrimonio dell’umanità dell’UNESCO nel 1987.

Vallo di Adriano

Vallo di Adriano

Vallo di Adriano
Questo modello di barriera fu successivamente, esportato in Africa, sul Reno e sul Danubio e per Adriano questi confini militarizzati non significano un ripiegamento di Roma su se stessa ma l’esaltazione di un mondo oramai adulto che secondo lui aveva saputo superare le pulsioni aggressive dell’adolescenza. Nel 123 d.C. iniziò il lungo viaggio d’ispezione delle province orientali che lo impegnò per due anni. Rifondò Stratonicea (ribattezzata Adrianopoli), nella Mesia fondò Adrianotera, trasformò Pergamo nella più grande stazione termale dell’impero, si recò a Efeso, Rodi e infine Atene dove avviò grandiose opere di ricostruzione, per dare alla città la grandezza di un tempo.
E’ nel 124 che, probabilmente, fu iniziato ai misteri eleusini. I misteri rappresentavano il mito del ratto di Persefone, strappata alla madre Demetra dal re degli Inferi, Ade, in un ciclo di tre fasi, la “discesa” (la perdita), la “ricerca” e l’ascesa, dove il tema principale era la “ricerca” di Persefone e il suo ricongiungimento con la madre. Tale iniziazione fu molto importante agli occhi degli ateniesi che fecero iniziare l’anno proprio da quell’avvenimento e un’iscrizione del 184 definisce Adriano “fondatore di Atene”.
Lasciata la Grecia si recò in Sicilia per un’ascesa sull’Etna e nell’agosto del 125 costruì la sua villa di Tivoli.
Nel 127 visitò la Gallia cisalpina e nel 128 intraprese un viaggio in Africa con uno scopo ben preciso: far uscire dalla logica coloniale un gran numero di città. Investe dello status di municipio tutte le città della Tunisia. Tre delle più antiche città puniche ottennero lo status di colonia onoraria. Adriano era spinto da forti motivazioni: inglobare nella civiltà romana città ricche e dotate di un reale potenziale economico; ad esempio promuovere un’importante città portuale come Utica significava facilitare il trasferimento di grano dall’Africa verso Roma. Gran parte del tempo trascorso in Africa Adriano lo dedicò all’ispezione delle truppe al fine di valutarne il livello di addestramento ed efficienza.
Dopo il ritorno a Roma, nell’autunno del 128 raggiunse, nuovamente, Atene dove conseguì il secondo grado di iniziazione ai misteri eleusini. Nell’aprile del 129 si recò a Laodicea sul Lico (al confine tra Siria e Turchia), nel giugno dello stesso anno si recò ad Antiochia, una delle maggiori città dell’impero e successivamente ad Amaseia sulle sponde del mar Nero. Si recò poi a Trebisonda e poi a Palmira, la città del deserto siriano che dotò di importanti edifici; nel 130 d.C. viaggiò in Arabia e in Giudea.

Palmira (Siria)
In questa regione il fuoco covava sotto la cenere. Il problema della Giudea si era manifestato in tutta la sua gravità fin dai tempi della prima rivolta, nel 66 d.C., quando le truppe di Cestio Gallo, governatore della Siria, furono duramente sconfitte con perdite rilevantissime (circa seimila uomini, secondo Giuseppe Flavio) e la perdita delle insegne da parte della Legio XII Fulminata. Il tutto ad opera di truppe che non si potevano tecnicamente definire militarmente all’altezza di quelle romane. Il che dimostrò la fortissima motivazione dei Giudei e, in particolare degli Zeloti. La rivolta si protrasse fino alla distruzione di Gerusalemme, nel 70 d.C., avvenuta ad opera del generale Tito, figlio di Vespasiano, e alla caduta della fortezza di Masada avvenuta nel 73 d.C., conclusasi con la morte per suicidio di tutti i resistenti e dei membri delle loro famiglie. Nel 115 d.C., sotto Traiano alla rivolta divampata a Cirene, in Egitto e a Cipro si unirono anche i Giudei con effetti devastanti. Il problema era strutturale, dato che gli abitanti della Giudea rifiutavano decisamente la romanizzazione, sia per motivi nazionalistici che, soprattutto, per motivi religiosi. Infatti, professando una religione monoteista che, essendo per sua natura intollerante, non prevedeva l’affiancamento di divinità straniere come era avvenuto in tutte le province, l’integrazione diveniva impossibile, ma quando Adriano stabilì che la circoncisione era illegale e che nella ricostruzione di Gerusalemme, rinominata Aelia Capitulina, sarebbero stati costruiti un tempio a Giove e uno a Venere, il fuoco delle rivolte divampò in tutta la sua violenza. Adriano inviò uno dei suoi più valenti generali, Sesto Giulio Severo, il quale riuscì a evitare la guerriglia alla quale lo spingeva il capo dei ribelli Simon Bar Kokhba e, una ad una, distrusse tutte le cinquanta fortezze dei Giudei; fonti giudaiche parlano di 580.000 Giudei uccisi e 985 centri villaggi distrutti e relativo spopolamento della regione, ma anche l’esercito romano ne uscì molto provato. I Giudei superstiti furono venduti come schiavi e i capi della ribellione furono condannati a morte. Fu sicuramente una guerra durissima che costrinse Adriano a cancellare dalle mappe geografiche il nome di Giudea e sostituirlo con quello di Palestina. Gli Ebrei non ebbero più nè patria nè la loro città santa.
Nel 135 d.C. dopo aver soffocato la ribellione Adriano tentò di sradicare l’ebraismo considerandolo la causa delle continue ribellioni. Proibì la Torah, il calendario giudaico e mise a morte gli studiosi delle “Scritture”. I Rotoli sacri furono formalmente bruciati nel Tempio. L’accesso a Gerusalemme, divenuta Aelia Capitolina, fu precluso ai Giudei. Più tardi si permise loro di piangere la loro umiliazione una volta all’anno nel giorno del Tisha B’Av. Era evidente che l’impero non poteva permettersi di mantenere in vita un potenziale focolaio di ribellione in un’area così delicata, soprattutto in considerazione della presenza di comunità ebraiche in molti paesi al di fuori della Giudea derivante dalla diaspora avvenuta in seguito ai fatti del 70 d.C..
Mentre Giulio Severo combatte i Giudei, Adriano si recò in Egitto; ad Alessandria intraprese importanti lavori nel Serapeum (il tempio di Serapide) dove offrì un sacrificio funebre in onore di Pompeo. Con questo atto Adriano compì un gesto di riconciliazione verso il Senato e mostrò di inchinarsi dinanzi all’ideale superiore dell’eternità di Roma.
Il viaggio proseguì con una risalita del Nilo, contrassegnata dalla tragedia della morte di Antinoo, il giovane amante di Adriano, affogato nel fiume egizio il 30 ottobre del 130 d.C..

Adriano e Antinoo
Adriano pianse per una settimana la morte di Antinoo e gli dedicò una nuova città, Antinopolis, coniando molte monete con la sua effigie. In realtà non si sa se sia stato un incidente, o un suicidio, o un assassinio o un sacrificio alle divinità. Nell’impero corse la voce che Antinoo si fosse suicidato per prolungare la vita di Adriano, perchè, pratiche magiche orientali richiedevano che qualcun altro morisse al suo posto in devotio. Dopo un nuovo passaggio ad Alessandria, attraverso la Cilicia e la Mesia ritornò ad Atene dove inaugurò il mastodontico Olimpieion (il tempio di Giove) del quale Pisistrato aveva gettato le fondamenta nel VI secolo a.C.. Gli archeologi vi hanno trovato molte statue di Adriano, a dimostrazione che in Grecia l’Imperatore era considerato una divinità. Ad Atene, Adriano realizzò una grandiosa biblioteca e un ginnasio. Si recò, nuovamente in Egitto, e da qui ritornò a Roma all’inizio del 134 d.C.. Da allora amministrò l’Impero dalla sua villa di Tivoli, Villa Adriana.
In questi lunghi viaggi, nei quali praticamente Adriano percorse tutto l’impero, non si occupò solo di questioni legate alla difesa dei confini ma anche di esigenze amministrative, edificazione di edifici pubblici e, più in generale, di cercare di migliorare lo standard di vita delle province. Al contrario di altri imperatori, che governarono l’impero senza muoversi praticamente mai, Adriano scelse un metodo di conoscenza diretta derivante dal ritenere ormai in atto un consolidamento della situazione interna, in quanto allontanarsi dalla sede del potere per periodi così prolungati presupponeva una certezza assoluta della tenuta del sistema. Un altro elemento era la curiosità propria del suo carattere e la propensione per i viaggi che lo accompagnò tutta la vita.
Malgrado avesse seguito personalmente più di una campagna militare, Adriano si dimostrò, oltre che esperto di cose militari, anche un grande riformatore della pubblica amministrazione. Il suo intervento sulle strutture amministrative dell’impero fu molto profondo e dimostra che era parte di un piano globale che l’Imperatore andava applicando, mano a mano, alla struttura dell’esercito, alla difesa dei confini, alla politica estera, alla politica economica. Adriano ha una sua precisa visione dell’impero e cerca di uniformare le singole parti al suo disegno. La sua filosofia risulta evidente dai suoi atti: il ritiro da territori indifendibili, il controllo dei confini basato su difese stanziali, la politica degli accordi con gli stati cuscinetto che facevano da interposizione fra il territorio dell’impero e quello dei popoli confinanti.
Adriano si rese conto che il problema delle strutture difensive era strettamente connesso col territorio e col tipo di difesa che si voleva instaurare e, pertanto, adattò la strategia difensiva alla tipologia di confine. Strutture particolarmente pesanti e durature, oltre a richiedere tempi di realizzazione e costi ingenti, mal si adattavano a mutamenti strategici nelle linee difensive. Se un territorio era particolarmente soggetto a incursioni in un determinato periodo, una struttura leggera, formata da fossati, terrapieni e palizzate, poteva fornire una discreta tenuta, dando, alle truppe di stanza nelle fortificazioni, il tempo di intervenire. Diverso era il caso di incursioni in profondità o vere e proprie invasioni che richiedevano strutture molto più resistenti, le quali però una volta edificate diventavano definitive e non seguivano le evoluzioni politiche e strategiche del territorio. Molte regioni passarono da situazioni di occupazione vera e propria allo stato di protettorati, i cosiddetti “stati clienti”, il che modificava notevolmente le necessità difensive. Quando la politica del protettorato si consolidava, si mantenevano in loco le risorse strettamente necessarie spostando le risorse liberate in zone più calde. Questo sistema detto delle “Vexillationes”, cioè di distaccamenti prelevati da una legione e comandati altrove, dette ottimi risultati conferendo un’elasticità di manovra notevole. Il sistema dei distaccamenti consentiva anche di non turbare gli equilibri regionali faticosamente raggiunti, in quanto non si effettuava lo spostamento di un’intera legione ma di singoli reparti. Il che, con il consolidamento di una difesa sempre più stanziale e conseguenti legami instaurati tra legionari e abitanti dei territori, consentiva di mantenere il controllo del territorio disponendo comunque di una massa di manovra da destinare a operazioni belliche ove fosse necessario. Per mantenere alto il morale delle truppe e non lasciarle impigrire, Adriano stabilì intensi turni di addestramento, ispezionando personalmente le truppe nel corso dei suoi continui viaggi. Poiché non era incline a distinguersi per lussi particolari, si spostava a cavallo e condivideva in tutto la vita dei legionari. Di questa attività rimane memoria nelle cosiddette “Iscrizioni di Lambesi” che vennero erette dopo una permanenza dell’Imperatore nel castrum omonimo, sede della Legio III Augusta di stanza in Numidia. In questo documento viene descritta una serie di esercitazioni molto complesse che la legione svolse con successo nell’anno 128 d.C.. Ciò a dimostrazione della nuova dottrina difensiva di Adriano che intendeva ottenere il massimo dell’efficienza militare anche in quadranti, come quello numidico, abbastanza pacifici. Da un punto di vista della struttura organizzativa non portò grandi innovazioni nell’esercito, salvo creare truppe, basate su leva locale, denominate Numeri. Ciò al fine di dare un apporto alle truppe ausiliarie: i cosiddetti Auxilia. I motivi erano vari, innanzitutto tecnici, si trattava di mettere in linea truppe molto specializzate, ad esempio lanciatori, o destinate a terreni particolari o equipaggiate in modo non convenzionale (ad es. alcuni corpi di cavalleria pesante). Inoltre i Numeri non fruivano come gli Auxilia del diritto di vedere arruolati stabilmente i loro figli nelle legioni e quindi ciò contribuiva a mantenere gli organici in numero costante. Di fatto i Numeri erano molto più vicini degli Auxilia ai gruppi etnici stanziati nei territori che si intendevano controllare e conservavano organizzazione e armamento loro propri. Il tutto a costi nettamente inferiori rispetto a quelli che si sostenevano per i legionari regolari, i quali oltre a una paga di tutto rispetto, fruivano di donativi saltuari e una liquidazione finale, spesso costituita dal diritto di proprietà di terreni.
Adriano protesse l’arte essendo egli stesso un fine intellettuale, amante delle arti figurative, della poesia e della letteratura. Ma era l’architettura l’arte che lo appassionava più di tutte e durante il suo principato si adoperò per dare un’impronta stilistica personale agli edifici via via edificati. Seguendo l’esempio di Augusto, Adriano volle per se e per i suoi successori un importante mausoleo, quel monumento esistente ancora oggi e noto come Castel Sant’Angelo. Iniziato da Adriano nel 125 d.C., ispirandosi al mausoleo di Augusto, fu ultimato da Antonino Pio nel 139. Fu costruito di fronte al Campo Marzio al quale fu unito da un ponte appositamente costruito, il Ponte Elio. Il mausoleo era composto da una base cubica rivestita in marmo. Nel fregio prospiciente il fiume si leggevano i nomi degli imperatori sepolti all’interno. Sempre su questo lato si presentava l’arco d’ingresso intitolato ad Adriano, interamente rivestito di marmo giallo. Al di sopra del cubo di base era posato un tamburo realizzato in peperino e in opera cementizia, tutto rivestito di travertino. Al di sopra di esso vi era un tumulo di terra alberato circondato da statue marmoree. Il tumulo era, infine, sormontato da una quadriga in bronzo guidata dall’imperatore Adriano raffigurato come il sole posto su un alto basamento. Attorno al mausoleo correva un muro di cinta con cancellata in bronzo decorata da pavoni, due di essi sono conservati al Vaticano. All’interno pozzi di luce illuminavano la rampa elicoidale in laterizio rivestita in marmo che collegava l’ingresso alla cella posta al centro del tumulo. Il Mausoleo ospitò i resti dell’imperatore Adriano e di sua moglie Sabina, dell’imperatore Antonino Pio, di sua moglie Faustina maggiore e di tre dei loro figli, di Lucio Elio Cesare, di Commodo, dell’imperatore Marco Aurelio e di altri tre dei suoi figli, dell’imperatore Settimio Severo, di sua moglie Giulia Domna e dei loro figli Geta e Caracalla.

Ricostruzione del Mausoleo di Adriano

Mausoleo di Adriano (Castel Sant’Angelo)
Un’altra importante eredità architettonica lasciataci da Adriano è il Pantheon, il tempio dedicato a tutti gli dei. L’area era quella delle antiche terme pubbliche offerte ai romani da Agrippa, genero di Augusto. Del vecchio edificio non restava all’epoca che un portico e una lastra di marmo con una dedica al popolo romano che fu collocata sul frontone del nuovo tempio. Il Pantheon corrisponde alle manie architettoniche di Adriano.

Pantheon
Villa Adriana a Tivoli fu l’esempio più notevole di una dimora immensa costruita con passione, intesa come luogo della memoria, intessuto di citazioni architettoniche e paesaggistiche, di riproduzioni, su varia scala, di luoghi come il Pecile ateniese, Canopo in Egitto e il Teatro Marittimo, innalzato su un laghetto formato da un canale, con un isolotto al centro di 45 metri di diametro, accessibile solo con un ponte movibile. Si narra che Adriano, stanco della corte si rifugiasse sovente in questo isolotto alzando il ponte. Nel 1999, Villa Adriana è stata dichiarata patrimonio dell’umanità dell’UNESCO.

Villa Adriana
Adriano fu un umanista profondamente ellenofilo. Studiò le filosofie platoniche ed epicuree, e la lingua greca, che amava, anche perchè riteneva che tutto ciò che l’uomo ha detto di importante l’ha detto in greco. In omaggio ai filosofi greci, fu il primo imperatore a portare sempre la barba, un uso che verrà poi ripreso da molti suoi successori (tra i quali Antonino Pio, Marco Aurelio, Settimio Severo e Giuliano). Fu anche il primo Imperatore romano a essere iniziato al rito greco dei misteri eleusini e, a parte Caligola e Nerone, a interessarsi fortemente alle culture orientali dell’impero, ma allo stesso tempo riaffermò le antiche origini di Roma, valorizzando elementi arcaici e augustei della religione romana, come il richiamo a Romolo e Numa Pompilio.
Adriano fu uno degli imperatori morti naturalmente e non eliminati violentemente in una congiura. Anche la designazione del successore e il suo insediamento, dopo la morte di Adriano, non furono ostacolati. Per la sua successione scelse Cejonio Commodo Vero, di costumi corrotti e malaticcio, malvisto da tutti. Quattrocento milioni di sesterzi. spesi in donazioni ai soldati e al popolo, gli costò quell’inutile adozione perché Cejonio fu mandato in Pannonia a comandarvi le legioni e vi morì nel 138 d.C. La morte di Cejonio fu accolta con gioia specialmente dai senatori. Dopo vari pretendenti Adriano adottò Tito Aurelio Fulvio Antonino.
Intanto, le condizioni di salute di Adriano si aggravarono. Adriano soffriva di idropisia e le sofferenze causate dalla malattia erano tali che l’Imperatore negli ultimi anni della sua vita tentò più volte di suicidarsi.
Adriano morì all’età di 62 anni, il 10 luglio 138 d.C. nella sua residenza di Baia, una frazione dell’attuale Bacoli, in Provincia di Napoli, a causa di un edema polmonare.
Il suo successore fu Tito Aurelio Fulvio Antonino, il quale divenne imperatore con il nome Antonino Pio.
Luca D’Agostini
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