In Occidente purtroppo quasi nessuno conosce le avventure dei cavalieri russi o bogatyri, i guerrieri della Santa Rus’. Purtroppo in Occidente sono dai più conosciute solo le avventure di Re Artù e dei cavalieri della tavola rotonda e si ignorano del tutto invece le affascinanti vicende ed avventure di questi eroici e possenti cavalieri. In Russia i racconti riguardanti le loro gesta sono stati tramandati di generazione in generazione per secoli oralmente e nei villaggi rurali i racconti venivano accompagnati da folkloristiche ballate popolari. (1)
I tre più grandi e famosi cavalieri bogatyri furono: Ilya Muromets, Dobrynja Nikitič e Alëša Popovič.
Questo di seguito è un famoso dipinto che tutti i russi conoscono ed è opera del pittore Viktor Vasnetsov. Ilya Muromets è il cavaliere al centro sul cavallo nero. Dobrynja Nikitič è il cavaliere a sinistra sul cavallo bianco. Alëša Popovič è il cavaliere a destra.
Ilya Muromets (oppure anche Il’ja Muromec), soprannominato il “vecchio cosacco”, è ritenuto il più grande dei cavalieri russi fedele alla sua terra ed alla sua gente. Ilya incarna il prototipo dell’eroe forte e generoso ma con temperamento focoso ed è l’eroe più amato da tutto il popolo russo. Rappresenta la classe contadina, legata alla terra e al lavoro dei campi. E’ spesso polemico nei confronti dei nobili. Ha trascorso la sua vita combattendo contro i nemici della religione ortodossa e per la salvezza della Santa Rus’. La sua figura fu utilizzata come modello di quello che sarebbe dovuto essere l’ideale di “uomo russo”. Secondo tale impostazione, infatti, Ilya racchiudeva in sé le qualità che distinguevano il “tipico russo” dal resto dei popoli europei, rappresentate da una forza gentile e mai aggressiva ma pronta a difendere la causa del suo popolo. (1) Tale interpretazione fu condivisa successivamente anche da Dostoevskij. (2)
Sebbene le gesta epiche di Ilya Muromets siano state tramandate oralmente in storie arricchite di molta fantasia, Ilya Muromets è esistito realmente. Nel 1643 fu canonizzato Santo dalla Chiesa Ortodossa con ricorrenza celebrata il 1° gennaio.
Le sue reliquie sono sepolte a Kiev nel monastero Kyevo Pečers’ka Lavra, conosciuto anche come Monastero delle Grotte di Kiev, un antico monastero fondato nel 1051 dai monaci Antonio e Teodosio. Nel 1988, una Commissione del Ministero della Salute dell’Unione Sovietica ha esaminato le reliquie, a seguito della quale, dopo esami ed analisi durate 3 anni ed alle quali hanno partecipato scienziati di diverse specializzazioni, è stato stabilito che si trattava di un uomo che è morto nell’anno 1188 circa, all’età di 40-55 anni, a causa di ferite al cuore molto probabilmente subita in battaglia (3). Inoltre al momento della morte aveva la clavicola destra rotta ed una ferita tagliente sul palmo della mano sinistra. Gli scienziati trovarono altri segni di costole rotte, molto probabilmente in battaglia, ma gli esami radiologici hanno evidenziato che queste fratture si sono ricomposte nel corso degli anni. Gli esami stabilirono che la sua altezza fosse di circa 177 cm in un periodo storico in cui la popolazione era normalmente di altezza inferiore raggiungendo il massimo di 160-165 cm.
Le analisi delle ossa e delle tuberosità del corpo mummificato hanno evidenziato che la sua massa muscolare era molto ben sviluppata simile a quella di un odierno atleta professionista. Gli esami a raggi X hanno evidenziato che in gioventù abbia sofferto di una malattia specifica la spondiloartrosi. Nelle descrizioni dei radiologi è indicato: «уплощение тела пятого поясничного позвонка, наличие остеофитов на грудных и поясничных позвонках, а также дугообразные соединения отростков пятого и четвертого поясничных позвонков позволяют утверждать, что при жизни этот человек страдал спондилоартрозом», “appiattimento del corpo della quinta vertebra lombare, la presenza di osteofiti nel torace e vertebre lombari, processi di connessione a forma di arco della quinta e la quarta vertebra lombare”. Secondo i sintomi di questa malattia, le persone che ne sono afflitte hanno una mobilità limitata oppure sono costrette alla paralisi degli arti. (4)
Dobrynja Nikitič è il secondo bogatyr per ordine di importanza dopo Ilya Muromets. Dobrynja Nikitič è di nobile famiglia e per questo motivo ha un cavallo bianco e sfoggia armi lussuose. La dote che lo contraddistingue dagli altri possenti guerrieri russi è l’astuzia, in quanto fisicamente è meno forte degli altri. Egli è molto colto ed è un buon oratore ed un fine diplomatico. (5) (6) Alëša Popovič è invece figlio di un religioso. E’ un guerriero forte ed astuto ma dal carattere ambivalente. Infatti spesso mente, si ubriaca, agisce per invidia ed è pronto ad insidiare mogli e fidanzate altrui. Alëša Popovič ha la capacità di volgere a suo favore situazioni intricate e complicate mediante l’utilizzo di una spiccata intelligenza. Ilya, Dobrynja e Alëša sono un microcosmo che rappresenta in qualche modo l’intero popolo russo: il contadino onesto e generoso, il nobile valoroso e leale, e il religioso con ironici tratti di dongiovanni. (5)
E’ interessante notare che né Ilya Muromets né altri eroi russi hanno mai compiuto imprese per la gloria personale, ma le loro gesta sono sempre volte al bene del popolo russo.
Questa è la loro storia! Tanto tempo fa, prima del 1361 quando il condottiero mongolo Mamaj arrivò dall’oriente per portare massacri e distruzioni nella terra di Rus’, la grande e splendente città di Kiev era la madre di tutte le città russe. Allora regnava sulla Santa Rus’ il gran principe Vladimir, detto “Piccolo Sole”. La Rus’ a quel tempo era al sicuro perché il gran principe Vladimir si circondava di una schiera di valenti cavalieri, i bogatyri, i quali proteggevano validamente il territorio e le frontiere da tutti i nemici. (7)
Come precedentemente accennato, Ilya Muromets è l’eroe più amato da tutto il popolo russo. Molte persone in Russia si chiamano Ilya, in onore delle sue gesta e per questo è un nome che gode di grandissimo rispetto da parte di tutta la popolazione russa. Nel corso dei secoli, il nome Ilya divenne sinonimo di fierezza ed integrità spirituale. Il giovane Ilya era nato a Karačarovo, un piccolo villaggio presso la grande città di Murom. Il padre Ivan era un contadino che lavorava la terra dall’alba al tramonto, e avrebbe davvero avuto bisogno di un paio di braccia in più che l’aiutassero nel suo lavoro, ma purtroppo il povero Ilya non poteva aiutarlo, essendo nato paralitico. Non sapeva camminare, né disporre dell’uso delle mani.
Ed era ben triste per i genitori assistere questo povero ragazzo che trascorreva tutta la sua fanciullezza su un giaciglio all’interno della casa, intristito per essere di peso alla sua famiglia. Ilya aveva 33 anni l’estate in cui tre vecchi pellegrini bussarono alla sua porta e per tre volte gli chiesero: “Alzati, Ilya, Ilya Ivanovič. Dacci da bere, che abbiamo sete. Dacci da bere a sazietà!”. Non vi era nessuno in casa, i genitori di Ilya erano fuori a lavorare nei campi, e per tre volte rispose il giovane Ilya dal suo giaciglio: “Volentieri vi darei da bere, vi darei da bere fino ad inebriarvi. Ma per trent’anni di lunga vita non seppi camminare sui miei piedi e non seppi disporre delle mani.” Ed i pellegrini allora dissero: “Alzati, Ilya, Ilya Ivanovič. Con i tuoi piedi tu sai camminare, delle tue mani tu sai disporre!” Ilya si alzò immediatamente ed esclamò: “Oh, gloria al Signore! Dio mi ha concesso di camminare, ha infuso forza nelle mie mani, il Signore!” Corse nelle cantine e portò da bere ai pellegrini, i quali dissero: “E ora, Ilya, scendi di nuovo nelle cantine, porta su una coppa colma fino all’orlo e bevi anche tu alla tua salute!” Ilya fece come gli era stato detto e bevve. E d’incanto sentì sorgere in sé una forza smisurata. Allora i pellegrini lo benedissero e lo salutarono con queste parole: “Vivi, Ilya, per essere guerriero! In terra morte non t’è destinata, in lotta morte non t’è destinata!”
Subito Ilya corse nei campi dai genitori, i quali si stupirono molto nel vederlo arrivare sulle sue gambe e lodarono Dio per il miracolo che aveva compiuto. E Ilya dimostrò loro la sua forza sradicando una grandissima quercia e gettandola di traverso sul fiume Nepra in modo da farvi un ponte per passare dall’altra parte. Rivolgendosi ai genitori disse: “Tu adesso padre, e anche tu madre, datemi la vostra benedizione. Io intendo partire per la grande città di Kiev, dal principe Vladimir, il piccolo sole, per mettere la mia forza al suo servizio.” I genitori risposero: “O figlio diletto, parti per la grande città di Kiev. Grande forza ti ha dato Dio, ma tu vivi sempre in grande umiltà.” Il mattino seguente Ilya prese il suo cavallo di nome Sivko e partì dal suo villaggio diretto alla grande città di Kiev. Indossava un abito semplice e pratico e aveva con sé una spada, una lancia, un arco e una pesante clava. Salutò i genitori e promise loro che durante il viaggio non avrebbe sparso sangue: solo una volta giunto a Kiev avrebbe sguainato la spada e mostrato il suo valore.
Ben deciso a giungere a Kiev in un solo giorno, Ilya partì al galoppo per le aperte ampie steppe. Ma giunto nei pressi della grande città di Černigov, si accorse che questa era assediata da un’orda di tartari decisi a massacrare tutti gli abitanti e a radere al suolo le chiese. Pregando Dio di liberarlo dal voto, Ilya dapprima colpì i tartari con una pioggia di frecce e poi spronò il cavallo ed affronto da solo con la spada i tanti tartari rimasti ancora in vita, annientandoli tutti senza risparmiarne alcuno. Finita la battaglia si aprirono le porte di Černigov e gli abitanti della città uscirono a fargli festa e gli proposero di divenire loro sovrano. Ilya rifiutò, e si limitò a chiedere la strada per giungere a Kiev. Gli abitanti di Černigov spaventati e preoccupati gli dissero: “Da trent’anni nessuno transita più per la strada per Kiev, ormai bloccata da cespugli ed erbacce, poiché nei boschi di Brjansk, presso il fiume Smorodinka, su sette querce ha fatto il suo rifugio il brigante Solovej. Appena Solovej cinguetta come un usignolo, tutte le erbe dei prati s’intrecciano, gli alberi si sradicano e quanti sono nei pressi cadono morti a terra!” Bisognava prendere un’altra strada, più lunga e tortuosa, ma Ilya si era ripromesso di arrivare a Kiev in giornata.
Così si avviò per i boschi di Brjansk, facendosi strada attraverso l’intricata vegetazione. Arrivato al fiume Smorodinka, il brigante Solovej si sporse dall’alto della sua quercia e gli lanciò un fischio lacerante, tanto che Sivko, il cavallo di Ilya, si paralizzò dal terrore. Subito Ilya prese l’arco e scoccò una freccia la quale colpì Solovej in un occhio e il brigante cadde giù dall’albero. Allora Ilya lo afferrò, lo legò al pomo della sella di cuoio e riprese la via per Kiev.
Ilya però non si rese conto di passare accanto al rifugio di Solovej, nel quale vivevano le tre figlie del brigante con i loro mariti. Non appena le figlie videro il padre legato alla sella di Ilya, chiamarono i mariti perché intervenissero. Questi si affacciarono dal rifugio e chiamarono Ilya: “Vieni, robusto bravo giovane, sii nostro ospite nel rifugio. Ti offriremo cibi prelibati e dolci bevande, e ti doneremo doni preziosi.” Ma Ilya non si fece ingannare. Non appena entrò nel rifugio, trasse la spada e fece tutti quanti a pezzi. Poi, sempre col brigante legato alla sella, riprese il viaggio.
Giunto alle porte d’oro della grande città di Kiev, Ilya entrò nel palazzo del gran principe ed in presenza di tutti i nobili s’inchinò di fronte al gran principe Vladimir. Vladimir lo accolse con garbo: “Da dove vieni, robusto bravo giovane? Chi è tuo padre, chi è tua madre, qual è la tua stirpe?”. Ilya rispose: “O gran principe, piccolo sole, io provengo dal villaggio di Karačarovo, presso la grande città di Murom. Sono Ilya Ivanovič e sono giunto alla grande città di Kiev attraverso i boschi di Brjansk, per servirti in fede e verità, proteggere la Santa Rus’ e difendere la chiesa ortodossa.” Ma il principe Vladimir esclamò: “Ti vuoi prendere gioco di me! Da trent’anni nessuno transita più per i boschi di Brjansk. Presso il fiume Smorodinka ha il suo rifugio il terribile brigante Solovej!” Allora Vladimir e tutti i nobili, increduli e perplessi, si recarono in cortile, e qui trovarono il brigante Solovej legato alla sella di Sivko. Subito cominciarono a ridere ed a prenderlo in giro: “Cinguetta, adesso, Solovej, come un usignolo! Cinguetta, Solovej!” Ma Solovej dichiarò, con la bocca incrostata di sangue, che avrebbe obbedito solamente a colui che l’aveva catturato. Allora Ilya gli diede da bere un secchio di vodka e gli ordinò di fischiare, ma con poco fiato, per non fare danni. Solovej pensò però che non aveva più niente da perdere e fischiò con quanto fiato aveva in gola. Esplosero le finestre di cristallo del palazzo, i cavalli scapparono, si sradicarono gli alberi e molte persone caddero morte a terra. Il principe Vladimir si salvò per miracolo. Allora Ilya afferrò Solovej per i capelli e lo condusse nella steppa, dove gli tagliò la testa. Metà del corpo lo diede in pasto ai lupi, metà ai corvi, e questa fu la fine del brigante Solovej.
I giorni seguenti Ilya si domandava che specie di guerriero fosse. Ricordava le parole dei vecchi pellegrini: “In terra morte non t’è destinata, in lotta morte non t’è destinata!” Cavalcò dunque verso i monti per cercare il più possente e più antico dei bogatyri, i cavalieri russi, il grande Svjatogor. Intendeva mettere alla prova la sua forza con quella dell’invincibile Svjatogor.
Così Ilya lasciò Kiev e partì per le montagne. E mentre vagava per quelle terre deserte, ecco che vide avanzare un cavallo gigantesco, in groppa al quale si trovava un cavaliere che col pennacchio dell’elmo sfiorava le nuvole. Era Svjatogor. Allora Ilya spronò Sivko e prese la rincorsa. Balzò fino alla testa del gigante e gli vibrò un enorme colpo della sua mazza ferrata. Ma Svjatogor nemmeno se ne accorse. Ilya si domandò: “Cos’è successo alla mia forza prodigiosa? Fino a qualche giorno fa abbattevo interi eserciti, e adesso?” Provò a vibrare un colpo ad una quercia e quella andò in pezzi. Dunque aveva ancora la sua forza. Ilya tornò all’attacco e diede un’altra possente mazzata al capo di Svjatogor. Ma nemmeno stavolta il gigante parve molto turbato. Ilya tentò una terza volta e, facendo appello a tutte le sue forze, colpì Svjatogor sul petto. Questa volta il gigante oscillò leggermente, poi, muovendo la mano come se dovesse schiacciare una zanzara, afferrò Ilya per i capelli e se lo ficcò distrattamente in una tasca. Dopo non molta strada il cavallo di Svjatogor cominciò ad incespicare come se fosse aumentato il peso che stava trasportando. Svjatogor allora tolse dalla tasca Ilya ed esaminandolo si accorse che era un cavaliere e gli disse: “Ah, dunque fosti tu che osasti colpirmi per tre volte! Chi sei, buon valoroso prode?” Ilya rispose presentandosi: “Sono Ilya Ivanovič della grande città di Murom. Volevo far conoscenza con te e con te misurare la mia forza, o famoso Svjatogor.” Svjatogor rise: “I tuoi colpi mi son parsi punture di zanzara. Buon per te che non ti ho colpito, altrimenti ti avrei polverizzato gli ossicini. Ebbene, prode Ilya Muromets, sii il mio fratello minore. Io sarò per te il maggiore.” Ilya accettò e i due andarono insieme per monti e valli, scambiandosi i racconti delle loro imprese. Un giorno mentre vagavano sulle montagne notarono un immenso sarcofago di pietra. Ilya provò ad entrarvi ma era evidente che era troppo grande e non corrispondeva alle sue misure. Allora Svjatogor disse: “Non è per te il sarcofago, è chiaro. Piuttosto sembra della mia misura. Fammi entrare e prova a chiudere il coperchio.” Ilya tentò di dissuaderlo ma il gigante non gli diede ascolto. Si distese nel sarcofago e Ilya gli mise sopra il coperchio. Poi Svjatogor chiese di uscire. Ilya provò a smuovere il coperchio, ma quello si era saldato al sarcofago. Inutilmente Ilya tentò di infrangerlo con la mazza: il coperchio resisteva ai suoi colpi più possenti. Svjatogor gli consigliò: “Prendi la mia spada. Con quella riuscirai a infrangere questo sarcofago!” Ma Ilya rispose: “Inutile, la tua spada non riesco nemmeno a sollevarla da terra.” Svjatogor si rese conto alla fine che non poteva sfuggire al suo destino e disse: “Qui finisce la vita di Svjatogor. Ilya, compagno mio, prendi il mio buon cavallo e legalo qui accanto, perché perisca accanto al suo padrone e nessun altro lo possieda.” Ilya fece come gli era stato chiesto e tristemente se ne andò. E questa fu la fine di Svjatogor.
Luca D’Agostini
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Fonti
(1) Orlando Figes, La danza di Nataša, Storia della cultura russa (XVIII-XX secolo) ed. Piccola Biblioteca Einaudi, pag. 117.
(2) Fëodor Dostoevskij, Diario di uno scrittore, Firenze, 1963, pag. 613.
(3) Илья Муромец
(4) Илья Муромец — былинный богатырь или реальный человек?
(5) I Bogatyri
(6) Fiabe russe
(7) Bogatyri
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