Un ruolo importante nella decisiva vittoria della battaglia di Stalingrado l’ebbero i cecchini dell’Armata Rossa. Già prima della guerra, tra la popolazione sovietica vi era una notevole passione per il tiro al bersaglio. Durante la guerra, nel 1942, per il 25° anniversario della Rivoluzione d’Ottobre, fu organizzata dallo stato una “competizione socialista tra cecchini“. Il vincitore poteva essere solo uno, ma ogni cecchino riceveva comunque una medaglia appena raggiungeva il numero di 40 nemici uccisi.
Anatolij Ivanovič Čechov nacque a Mendeleevsk il 2 maggio 1923. Prima della guerra, come suo padre, lavorava in uno stabilimento chimico. La guerra dimostrò che era un cecchino di eccezionale talento.
Nella scuola dei cecchini, era il migliore ed all’età di 20 anni, nel settembre del 1942 fu inviato a dare il suo contributo nella durissima battaglia di Stalingrado. Nelle sue azioni dimostrò un coraggio assoluto, utilizzò metodi insoliti di mimetizzazione e scelse principalmente punti di tiro disposti in alto, sulle rovine degli edifici. Per far sì che la sua copertura non potesse essere rilevata dai lampi dei colpi sparati, Čechov si costruì autonomamente un silenziatore per il suo fucile e non sparò mai in condizioni di scarsa luce.
I suoi obiettivi abituali erano i soldati nemici che consegnavano cibo ed acqua in prima linea. Fu particolarmente importante neutralizzare i portatori d’acqua, poiché ciò costrinse i soldati tedeschi a bere acqua sporca e contaminata, con la conseguenza che molti di loro si ammalarono e non riuscirono a combattere e molti addirittura morirono per via dell’avvelenamento idrico.
Nel museo di Volgograd c’è una foto di Čechov scattata nel momento in cui uccide il 40° soldato nemico. Vasilij Grossman nel saggio “Attraverso gli occhi di Čechov” ha scritto: “Ha preso il suo fucile da cecchino prima della sera. Al mattino si è alzato prima dell’alba, non ha bevuto, non ha mangiato, ma ha solo versato acqua in una bottiglia di plastica, si è messo alcuni pezzi di pane in tasca e si è diretto alla sua postazione di tiro. Quel giorno scelse una posizione situata al 5° piano di un palazzo disabitato e semidistrutto dai bombardamenti. Si assicurò un’ampia visuale e osservò silenziosamente il terreno ed il nemico: Čechov si sistemò in modo che l’ombra della sporgenza del muro cadesse quasi tutto il giorno su di lui, e rimase invisibile quando tutto intorno era illuminato dal sole.
Si sdraiò sulle pietre fredde del pianerottolo e attese. Era l’alba. Un soldato tedesco con un secchio d’acqua uscì da dietro l’angolo di una casa. Čechov sparò ed il secchio con l’acqua cadde a terra. Due secondi dopo nello stesso punto cadde anche il soldato tedesco ucciso e la piccola pozza d’acqua divenne rossa. Un minuto dopo, un secondo tedesco apparve da dietro l’angolo, con un binocolo in mano. Čechov premette il grilletto e l’uccise. Poi qualche minuto dopo ne apparve un terzo: voleva recuperare il secchio per prendere nuovamente l’acqua, ma anche lui fu ucciso da un preciso colpo alla testa sparato da Čechov.
Per il resto del giorno, in quella zona non passò più alcun soldato nazista. Quando il giorno dopo, un soldato tedesco gattonando provò ad andare a reperire un po’ di acqua da quella casa, fu anche lui ucciso da Čechov.
Il mattino seguente, su un edificio vicino la casa dove i tedeschi andavano a prendere l’acqua, Čechov vide un piccolo e veloce abbaglio di luce. Si rese subito conto che era un cecchino nemico e così dopo pochi minuti lo uccise con un formidabile sparo del suo fucile”.
Durante la guerra, per le strade di Stalingrado, il sergente maggiore Čechov uccise 256 soldati e ufficiali tedeschi.
Ecco cosa raccontò il due volte Eroe dell’Unione Sovietica, il generale Rodimtsev, comandante della 13° Divisione di Fanteria della Guardia: “In uno dei cupi giorni autunnali del 1942, per premiare Čechov con l’Ordine dello Stendardo Rosso, lo convocai sulla collina di Mamaev Kurgan. Mi si presentò di fronte: era un ragazzo timido che portava con sé un fucile da cecchino. Parlammo in modo amichevole e confidenziale, ascoltando i rumori allarmanti della guerra. Gli dissi: «A nome del Comando, ho presentato la richiesta di insignirti con l’Ordine dello Stendardo Rosso»“. Rispose orgogliosamente: “Servo l’Unione Sovietica signor generale”.
In realtà era stata effettuata anche una richiesta di premiazione per Čechov con il titolo di Eroe dell’Unione Sovietica. Ma la richiesta non arrivò mai a destinazione poiché l’aereo diretto a Mosca che conteneva tra la posta anche tale richiesta, fu abbattuto dai tedeschi.
Il generale Rodimtsev continuò nel suo racconto: “L’8 ottobre 1942, il quartier generale della divisione che comandavo in quel momento, emise un ordine per la formazione di nuovi cecchini. A Stalingrado si svolsero feroci battaglie di strada. Si sparava in ogni edificio, in ogni angolo della città, direi su ogni pietra. La morte si impadroniva degli uomini metro per metro. Molte roccaforti dei nazisti erano fortemente fortificate e si trovavano di regola in solidi edifici, le cui mura non erano nemmeno state danneggiate dall’artiglieria. Ciò richiedeva nuove forme di combattimento. Pertanto era necessario formare dei cecchini specializzati, una sorta di «cacciatori» che avevano il compito di rendere innocue le postazioni mitragliatrici nemiche e di individuare a loro volta i cecchini nemici.
L’esempio da seguire era quello del sergente Anatolij Čechov. Questo ragazzo, ricevette la convocazione di arruolarsi nell’Armata Rossa solo sei mesi prima della battaglia di Stalingrado ed in brevissimo tempo divenne un formidabile cecchino“.
Ma Čechov non solo terrorizzò il nemico, ma si occupò personalmente anche della formazione di venti bravissimi cecchini. Seppur così giovane, ebbe tra i suoi allievi il sergente Vershigora, i soldati Zacharov e Zalovskij.
Dopo la battaglia di Stalingrado, a Čechov fu affidato il comando di un reggimento di cecchini nella battaglia di Kursk. Successivamente partecipò alla liberazione di molte città dell’Ucraina.
Nel 1943, vicino a Kiev, Anatolij Čechov calpestò una mina e fu gravemente ferito. Gli amici lo portarono nel battaglione medico della divisione vicina. Dopo aver esaminato la gamba, il chirurgo scosse la testa e disse: “Mi dispiace fratello, ma non potrai più combattere“. Fu necessaria l’amputazione del piede ed i medici redigettero un certificato di disabilità. In quel momento Čechov vantava l’uccisione di 265 nemici.
In seguito al congedo, Čechov andò a vivere a Kazan ed iniziò a lavorare come saldatore a gas in un impianto elettromeccanico.
Le imprese dei soldati sovietici vivono nel popolo. Sono immortali. Costituiscono la gloria e l’orgoglio comuni di tutti i russi. Il 6 febbraio 1965, il giornale Komsomolskaja Pravda pubblicò un articolo a firma del giornalista Zaporozhčenko, dal titolo “Il cecchino della leggenda“, a seguito del quale, all’inizio del 1965 a Kazan in occasione dell’imminente celebrazione del 20° anniversario della vittoria sulla Germania nazista, si erano riuniti i veterani della battaglia notturna del Volga. Si trattava di un incontro tra veterani ed operai della città e fu organizzato nel Museo Storico di Kazan. Durante la cerimonia, l’Eroe dell’Unione Sovietica, il cecchino Vasilij Zajtsev, ricordando l’ultima battaglia, raccontò al pubblico di un suo amico morto, un cecchino straordinario, un uomo di grande coraggio, di nome Anatolij Ivanovič Čechov il quale uccise 265 nazisti.
Quando Vasilij Zajtsev pronunciò questo nome, fra lo stupore di tutti, un uomo di mezza età si alzò dalle file posteriori e zoppicando si diresse verso il palco. Era lui “Il cecchino della leggenda“, Anatolij Čechov il quale incredibilmente per 22 anni fu considerato morto a Stalingrado. Infatti dopo la battaglia di Stalingrado di lui non si ebbero più notizie rilevanti ed in seguito alla ferita ed all’amputazione del piede fu congedato frettolosamente. La guerra in quel periodo era ancora in corso e nel frattempo Čechov aveva iniziato una vita del tutto anonima. I suoi compagni di battaglia invece lo consideravano morto.
Čechov morì realmente poi a Kazan il 6 giugno 1967, all’età di 44 anni.
In suo onore è dedicato il nome di una via di Volgograd, l’ex città di Stalingrado.
Luca D’Agostini
Lascia un commento
Fonti
Devi accedere per postare un commento.