L’invasione dell’Iraq non sarà ricordata per come è stata condotta militarmente, piuttosto per come è stata venduta mediaticamente. Fu una guerra di propaganda, una guerra di comunicazione in cui frasi enfatiche tipo “armi chimiche” e “stato canaglia” sono state lanciate come armi di precisione sull’opinione pubblica occidentale. Per comprendere la guerra in Iraq non è necessario consultare i generali, ma i maghi della comunicazione e gli agenti delle pubbliche relazioni che hanno gestito la manipolazione dell’opinione pubblica. Decine di milioni di dollari dei contribuenti furono versate a società private di pubbliche relazioni e agenzie di stampa che lavorarono per fabbricare e diffondere il diktat di Bush secondo cui Saddam doveva essere eliminato prima che facesse enormi stragi nel mondo lanciando bombe chimiche. Molti di questi dirigenti e consulenti d’immagine erano vecchi amici dei consiglieri militari di Bush. In effetti, erano veterani, come Cheney e Powell, della precedente guerra contro l’Iraq.
Ricordiamo la pagliacciata del discorso di Colin Powell del 5 febbraio 2003 al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, quando ridicolamente il Segretario di Stato statunitense agitò la famosa fialetta contenente a suo dire antrace e disse: “Saddam ha scorte per armare almeno 16.000 testate con agenti chimici o biologici. Saddam infatti ha almeno da 100 a 500 tonnellate di armi chimiche. L’Iraq ha già testato le armi chimiche sulle persone e lo farà ancora. Ha utilizzato dei condannati a morte come cavie. Sono almeno 7 e non più di 18 i laboratori chimici mobili di Saddam. L’Iraq non ha giustificato neanche un cucchiaio dell’antrace che ha prodotto. Basterebbe questa boccetta a fare una strage nel Senato degli Stati Uniti“. Inoltre dichiarò: “Saddam vuole la bomba atomica. E si è procurato due dei tre elementi chiave per costruirla. L’Iraq ha un programma per la costruzione di missili a lunga gittata.” Gli Stati Uniti affermarono di avere “solide fonti” fornite dall’intelligence per sostenere ciò, e per mezzo di questa motivazione cercarono di far accettare l’uso della forza contro l’Iraq.1
Nel famoso discorso, l’ex Segretario di Stato statunitense disse: “Abbiamo descrizioni di prima mano su fabbriche di armi biologiche su ruote. La fonte era un testimone oculare. Un ingegnere chimico iracheno, che ha supervisionato a una di queste strutture ed era presente durante i cicli di produzione dell’agente biologico. Egli è stato anche sul luogo in cui si è verificato un incidente nel 1998. Dodici tecnici sono morti“.1
Ma da dove sono arrivate queste testimonianze “certe” che descrivevano le armi biologiche di distruzione di massa nelle mani di Saddam Hussein? Da tal Rafid Ahmed Alwan al-Janabi, nome in codice “Curveball”, un ingegnere chimico iracheno laureatosi con scarsi risultati all’Università di Baghdad nel 1994. In Iraq lavorò fino al 1999 quando lasciò il posto, presso la società televisiva Babel di proprietà di Uday Hussein, figlio maggiore dell’ex presidente Saddam Hussein. Qualche tempo dopo venne emesso un mandato di cattura dal governo iracheno nei suoi confronti per furto ai danni proprio dell’azienda Babel. Janabi, che allora aveva circa 31 anni, fuggì a Monaco di Baviera dove arrivò con un visto turistico. Entrato in Germania da ricercato nel suo Paese d’origine fece domanda di asilo politico in quanto ritornando a casa avrebbe rischiato la prigione o peggio la vita. L’organizzazione di gestione dei rifugiati tedesca lo inviò a Zindorf nei pressi di Norimberga dove cominciò a raccontare ai tedeschi diverse cose.1
Nel 2011 in un’intervista al “The Guardian” durata 3 giorni, Janabi raccontò di essere stato ospite dei servizi segreti tedeschi in una modesta villetta di Monaco di Baviera dove il servizio informazioni federali BND aveva una ditta, la Thiele & Friederichs Marketing GbR, che usava come copertura. I tedeschi molto interessati ascoltarono le sue affermazioni e lo interrogarono dal dicembre 1999 al settembre 2001. L’ingegnere iracheno raccontò di aver lavorato dopo la laurea alle dipendenze del microbiologo Rihab Rashid Taha, meglio conosciuto come “Dr. Germ”, e di essere stato direttore di un sito a Djerf al Nadaf, a sudest di Baghdad, dove a suo dire si costruivano laboratori mobili per la produzione di armi biologiche. Incentivato dall’ottenimento dell’asilo politico nel 2000, continuò a dare molte informazioni sulla produzione di armi chimiche in Iraq.1
Anche se gli statunitensi non ebbero accesso diretto a “Curveball”, le informazioni raccolte dal BND vennero trasmesse alla Defense intelligence Agency (DIA) negli Stati Uniti. Le descrizioni non erano perciò di prima mano come disse nel suo discorso all’ONU Colin Powell, e nonostante gli esperti in armamenti, i tecnici della CIA, il tedesco BND e il britannico MI6 avessero riscontrato grossi difetti e incongruenze nelle dichiarazioni, e nonostante fosse stata messa in dubbio l’autenticità di quanto dichiarato da “Curveball” nel giro di tre anni queste informazioni diventarono un pilastro di quel famoso discorso.1
Nell’intervista al “The Guardian”, “Curveball” dichiarò che quasi tutte le informazioni fornite erano inventate, in particolare quelle sui suoi ruoli nella produzione di armi e sui camion per la produzione delle armi di distruzione di massa. Disse al giornalista del “The Guardian”: “Non era vero! Mi dettero questa opportunità, di costruire qualcosa per abbattere il regime. Io e i miei figli siamo fieri di averlo fatto e di essere stati la ragione per dare all’Iraq la possibilità di una democrazia. Quando penso che qualcuno viene ucciso, non solo in Iraq ma in qualunque guerra, sono molto triste. Ma ditemi un’altra soluzione. Sapete dirmela? Credetemi, non c’era altro modo di portare la libertà in Iraq. Non c’era nessuna altra possibilità“.1
Fu così che, come ebbe a dire il Guardian, in un piccolo appartamento nella città tedesca di Erlangen seduto con la moglie a vedere la tv, il disoccupato iracheno “Curveball”, che non aveva mai visto un funzionario degli Stati Uniti, vide la sua storia di fantasia esposta da Colin Powell nell’atto di giustificare quella che poi diventò l’invasione dell’Iraq.1
Ma quali furono le reali motivazioni dell’invasione dell’Iraq. Come sempre i motivi sono molteplici e mai uno soltanto.
Iniziamo con il ricordare la minaccia di Saddam Hussein. Nel novembre del 2000, il presidente iracheno decise che nelle sue future transazioni commerciali riguardanti la vendita di gas e petrolio, il dollaro dovesse venire sostituito dall’euro. Immediatamente dopo l’entrata in vigore della nuova moneta europea, Saddam ordinò quindi che le intere riserve irachene, ammontanti a 10 miliardi di dollari depositati alle Nazioni Unite nel quadro del programma “Oil for food”, fossero convertite in euro. Inoltre dopo l’11 settembre 2001, molti finanzieri islamici diedero dato inizio al rientro nelle banche arabe dei loro investimenti in dollari, preoccupati per il possibile sequestro dei loro titoli azionari in conseguenza del “Patriot Act” statunitense.2
Già da tempo era iniziata una riflessione sul fatto che in futuro l’OPEC potesse decidere l’adozione dell’euro, scelta dettata dai legami commerciali sempre più stretti tra Paesi membri dell’OPEC e l’area dell’euro dalla quale vengono importati oltre il 45% dei beni. Gli Stati Uniti erano consapevoli che era una questione di poco tempo prima e temevano fortemente che l’euro sostituisse il dollaro nel commercio del petrolio e divenisse la moneta di riferimento del commercio mondiale. Gli Stati Uniti si trovavano nella necessita di mantenere il commercio del petrolio nella loro moneta il dollaro, in modo da rimanere, militarmente ed economicamente, la potenza dominante nel mondo. Se l’OPEC avesse deciso di vendere in dollari gli Stati Uniti non avrebbero potuto finanziare il loro colossale deficit commerciale ed avrebbero perduto il controllo mondiale dell’economia. 2
Sul fronte OPEC individuano in Chavez, presidente del Venezuela, l’anello più debole. Mettere le mani nel calderone mediorientale sarebbe stato estremamente pericoloso ed avrebbe potuto destabilizzare l’intera area. Si concentrarono quindi sul Venezuela. I partiti d’opposizione si fecero promotori di un referendum per destituire il presidente Hugo Chavez, con l’obiettivo strategico secondo lo storico Samuel Moncada di privatizzare la compagnia petrolifera nazionale con capitale straniero e uscire successivamente dal cartello dell’OPEC. Da Miami l’ex presidente venezuelano Carlos Andrés Perez, grande amico degli statunitensi annunciò ai quattro venti un colpo di stato. Disprezzando il referendum affermo: “la via violenta è la sola possibile in Venezuela perchè il referendum non é parte della tradizione Latino-americana“. Ma il tentativo di golpe in Venezuela fallì.2
Gli Stati Uniti volgono allora lo sguardo altrove. Nel corso del 2002 secondo il deputato Mohammed Abasspour, membro della Commissione Parlamentare per lo Sviluppo anche l’Iran avrebbe convertito il 50% delle riserve in valuta della Banca Centrale Iraniana da dollari a euro. Fonti Iraniane dichiararono che i loro esperti del sistema bancario avevano la netta sensazione che l’amministrazione di Washington era particolarmente irritata per tutto ciò, e quindi palesava aggressività nella sua guerra di parole e di minacce di interventi militari.2
Anche la Corea del Nord agli inizi di dicembre 2002, senza che niente lo facesse presagire, annunciò ufficialmente il passaggio alla nuova valuta europea per i suoi commerci. Iraq, Iran, Corea del Nord ed il fallimento dei loro piani in Venezuela. Per gli Stati Uniti era un allarme, dovevano mostrare i muscoli, dare un segnale forte a quei paesi dell’OPEC che volevano negoziare il prezzo del petrolio in euro. Si videro obbligati a scalzare l’OPEC. Progettarono quindi un nuovo cartello petrolifero in Medio Oriente e in Africa. A tal fine, gli Stati Uniti fecero pressioni sulla Nigeria perché si sganciasse dall’OPEC e dalle sue quote ben definite in senso restrittivo di produzione di greggio, facendole balenare la prospettiva di generosi aiuti statunitensi.2
Avevano già invaso l’Afghanistan e minacciavano di intervenire in Iraq come strumento di pressione. Ma subentrò un grande problema nell’accaparramento di nuove fonti energetiche. Uno studio della defunta “Enron” aveva identificato l’area del mar Caspio come una riserva potenziale di 200 bilioni di barili di petrolio. Per attuare il disegno era necessario il controllo del territorio afgano, insostituibile via per il trasporto del greggio. Bin Laden venne designato come il nemico più pericoloso e diedero inizio all’attacco all’Afghanistan.2
Soltanto ad invasione avvenuta studi più accurati dimostrarono l’inattendibilità del rapporto “Enron” quantificando le riserve dei paesi dell’area del Caspio in non più di 20 bilioni di barili e per giunta di un petrolio di scarsa qualità e ad elevato contenuto sulfureo.
L’imponente intervento militare perdeva così il suo scopo e venne silenziosamente ridotto, alla faccia della caccia allo sceicco del terrore.2
La giunta Bush allora sostituì velocemente, quale nemico principale, Bin Laden con Saddam Hussein, ovvero l’Iraq, le sue risorse e le sue decisioni economiche. Lawrence Lindsey, consigliere economico di George W. Bush, disse: “Quando ci sarà un cambio di regime in Iraq, potrete aggiungere dai 3 ai 5 milioni di barili di produzione alle forniture mondiali. Il successo nel perseguimento della guerra sarebbe un bene per l’economia“. L’ex direttore della CIA James Woolsey gli fece eco: “L’Iraq sta esportando solo un milione di barili al giorno e sotto un’occupazione statunitense la produzione potrebbe crescere da 3 a 4 milioni di barili al giorno come misura di controllo del prezzo“.3
Strumentalizzano l’attentato dell’11 settembre additarono all’opinione pubblica l’Iraq di Saddam come ricettacolo di terroristi, nella lotta al terrorismo sostituirono Bin Laden con al-Zarkawi e con il pretesto delle armi di distruzione di massa prepararono l’invasione.2 Infatti la legittimazione dell’invasione dell’Iraq è stata incardinata nella narrativa ufficiale “dell’11 settembre”, che promuove il mito per cui gli Stati Uniti si trovavano sotto attacco da parte di terroristi stranieri impazziti. Ma questa narrativa è una gigantesca frode.
Francia e Germania che con Saddam stavano facendo affari erano naturalmente contrarie all’intervento militare. Occupato l’Iraq gli Stati Uniti smantellarono il programma ONU “Oil for Food” riconvertendo in dollari le riserve irachene e vararono il loro Fondo per la Assistenza all’Iraq naturalmente in dollari statunitensi. Washington elaborò una lista di imprese con lo scopo di eliminarle dal business della ricostruzione Irachena. Tra queste vi era l’ENI, prendendo come motivo il pretesto che avevano trasgredito la legge sulle sanzioni imposte a Iran e Libia del 1996 e classificandole come complici del terrorismo. L’Italia per non perdere i pozzi dell’ENI a Nassiriya aderì all’operazione Antica Babilonia inviando truppe militari come missione di pace o umanitaria.2
Infatti la scelta di Nassiriya non era casuale. Il capoluogo della provincia sciita di Dhi Qar era proprio il posto in cui il governo italiano voleva inviare i propri soldati. Perché? Perché sapevano quanto ricca di petrolio fosse quella zona. In gran parte desertica, ma letteralmente galleggiante sul petrolio. Il governo italiano lo sapeva per via di un vecchio accordo tra Saddam e l’ENI, che risaliva a metà degli anni Novanta, per lo sfruttamento di un consistente giacimento (2,5-3 miliardi di barili) nella zona proprio di Nassiriya. Ad ulteriore conferma vi era lo studio commissionato dal ministero per le Attività produttive, ben sei mesi prima dello scoppio della guerra, al professor Giuseppe Cassano, docente di statistica economica all’università di Teramo. Un dossier nel quale si confermava che: “non dobbiamo lasciarci scappare l’occasione in caso di guerra di basarci a Nassiriya, se non vogliamo perdere un affare di 300 miliardi di dollari“.4
Successivamente, il presidente della Commissione Esteri della Camera Gustavo Selva dichiarò: “Basta con l’ipocrisia dell’intervento umanitario. Abbiamo dovuto mascherare come operazione umanitaria perché altrimenti dal Colle non sarebbe mai arrivato il via libera“.2
Luca D’Agostini
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Fonti
(1) Armi chimiche
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(4) Petrolio
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