Pochi giorni fa, il 18 ottobre 2018, il presidente Vladimir Putin intervenendo al club di discussione Valdai ha inaspettatamente espresso un concetto molto forte. Queste le sue parole: “Il nostro concetto è l’attacco contrario. Ciò significa che siamo pronti a usare e useremo le armi nucleari solo in caso di aggressione. L’aggressore deve sapere che il castigo è inevitabile, che sarà ridotto in cenere. Mentre noi, vittime dell’aggressione, come martiri andremo in paradiso. Ma loro semplicemente periranno, perché non avranno nemmeno il tempo di pentirsi!” Ora, il presidente Putin non è un uomo che si lascia andare a considerazioni non ponderate salvo poi affermare di essere stato frainteso. Questa caratteristica è comune alla maggior parte dei politici ma il presidente Putin è uno statista di valore assoluto ed è un uomo molto freddo che sa pesare bene le proprie parole anziché farsi prendere da considerazioni emotive. Allora la domanda da porsi è la seguente: chi è il destinatario del messaggio del presidente Putin? La risposta potrebbe essere facile ed intuitiva, ma ha assunto un significato chiaro e netto quando due giorni dopo, il 20 ottobre Trump ha dichiarato l’intenzione degli Stati Uniti di ritirarsi dallo storico trattato sui missili nucleari con la Russia, firmato nel 1987. Evidentemente il presidente Putin già sapeva di questa intenzione ed ha inviato un chiaro monito agli Stati Uniti: “La dottrina militare russa consente l’uso della forze nucleare in un conflitto convenzionale, ma solo se è in gioco l’esistenza della Russia“.
Il messaggio del presidente Putin non è peregrino, poiché il presidente sa bene che le amministrazioni statunitensi non sono in grado di ponderare le loro scelte e che già in passato hanno utilizzato l’arma atomica senza alcun motivo bellico ma solo per intimorire l’Unione Sovietica.
Questa premessa ci è utile per affrontare l’argomento di questo articolo.
Il 6 agosto 1945 alle ore 8.15, “Little Boy”, com’era chiamata la prima pasticca di democrazia della storia, venne sganciata dal quadrimotore B29 “Enola Gay”: circa novantamila persone vennero uccise immediatamente; altre quarantamila rimasero gravemente ferite, molte delle quali morirono in una prolungata agonia a causa delle radiazioni.
Tre giorni dopo, il 9 agosto 1945 alle ore 11.02 a Nagasaki, il demonio a stelle e strisce replicò la devastazione già con successo collaudata tre giorni prima su Hiroshima, provocando circa quarantamila morti al momento dell’esplosione. La bomba atomica provocò la morte di 73.884 persone, altri 74.909 furono i feriti, e diverse centinaia di migliaia di persone si ammalarono e morirono a causa della pioggia radioattiva e di altre malattie dovute alle radiazioni. In questo caso la seconda bomba atomica della storia, era stata chiamata “Fat Man” dai ridicoli cow boy esportatori di democrazia.
Il Giappone, ormai annientato militarmente, conobbe così per la seconda volta l’apocalisse atomica. Nei giorni successivi, ad Hiroshima e Nagasaki migliaia e migliaia di uomini, donne e bambini inermi, persero la vita per le ferite riportate e, anche dopo anni, per gli effetti delle radiazioni nucleari. Migliaia le donne incinte che persero il figlio o che partorirono bimbi con mostruose deformità, causate dai danni che le radiazioni avevano causato sul corredo cromosomico dei feti.1
Forse, in quei giorni, i primi morti furono i più fortunati. Dei privilegiati rispetto alle tante migliaia di civili che morirono in un secondo momento. È davvero difficile pensare cosa abbiano provato quegli uomini e quelle donne che si accingevano ad andare a lavorare o ad accompagnare i bambini a scuola. Non esistevano neppure le immagini di esplosioni atomiche, nessuno dei cittadini di Hiroshima e Nagasaki aveva visto una tale luce o udito un tale suono così improvviso e devastante. Senza più la città intorno, senza punti di riferimento in un caldo torrido e colpiti da una forte pioggia radioattiva nera, i sopravvissuti vagarono senza meta, poi molti, sperando di fermare le terribili scottature, si gettarono nel fiume che però in alcuni punti ribolliva e ben presto si riempì di cadaveri che galleggiavano.

Deformazione umana in seguito al lancio della bomba atomica su Hiroshima

Deformazione umana in seguito al lancio della bomba atomica su Hiroshima

Deformazione umana in seguito al lancio della bomba atomica su Nagasaki
Complessivamente le due bombe, sganciate dai bombardieri statunitensi che volavano indisturbati nei cieli del Giappone in quanto non vi era ormai nessuna resistenza, uccisero circa 227.000 inermi civili giapponesi, con la conseguenza che gli effetti radioattivi a tutt’oggi provocano la morte di cinquemila persone l’anno. (Dato contenuto in un articolo del quotidiano “La Stampa” del 2 novembre 2007).
Gli Stati Uniti, una nazione nata sullo sterminio sistematico dei pellirossa (da 10 a 12 milioni di nativi americani morti ammazzati), gli Stati Uniti che arrogantemente si ergono a “sceriffi del mondo” e ad esportatori del “modello di vita americano”, che in modo del tutto ipocrita si sono arrogati il diritto di invadere l’Iraq assurgendo quale prova a fondamento del loro intervento il possesso delle armi chimiche da parte di Saddam con conseguente pericolo per l’umanità, gli Stati Uniti che in Siria inventano ad arte episodi di utilizzo di armi chimiche da parte di Bashar al-Assad mentre poi loro stessi in Siria finanziano terroristi che tali armi realmente le utilizzano per incolpare il presidente siriano ed auspicare un intervento armato da parte del miope Occidente, ebbene questi Stati Uniti che immeritatamente occupano un seggio nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, dovrebbero essere guardati con preoccupazione e diffidenza da ogni persona che abbia a cuore la salute della propria società e del proprio paese. A meno che, lo sterminio di massa, fino al genocidio di altri popoli, sia accettabile solo se compiuto dagli Stati Uniti.
Ricordiamo quindi cosa mosse le criminali decisioni di Truman e del suo entourage, e capiremo meglio molti eventi della realtà odierna.

Il presidente degli Stati Uniti Harry Truman
La risibile giustificazione per cui con le bombe atomiche si sarebbero evitate innumerevoli altre vittime è un misto di ipocrisia e di cinismo. In realtà, premesso che la guerra in Europa era già terminata, per quanto riguarda il Giappone occorre considerare che l’allora potente Marina Imperiale era stata notevolmente indebolita e non costituiva ormai più nessun pericolo e l’aviazione giapponese era stata totalmente annientata. Nel Paese i rifornimenti di petrolio non erano disponibili già dal mese di aprile. La totalità delle industrie giapponesi era già stata distrutta dai bombardamenti. La notte tra il 9 e il 10 Marzo del 1945, un’ondata di 300 bombardieri statunitensi colpì Tokyo, uccidendo centomila persone. Lanciando circa 1.700 tonnellate di bombe, gli aerei devastarono buona parte della capitale, bruciando completamente oltre 25 chilometri quadrati e distruggendo 250.000 edifici. Un milione di abitanti rimasero senza casa. Il 23 maggio, undici settimane più tardi, arrivò il più grande raid aereo della guerra sul Pacifico, con 520 enormi bombardieri B-29 che sganciarono 4.500 tonnellate di bombe incendiarie nel cuore della già malconcia capitale giapponese. Due giorni più tardi, il 25 maggio, un secondo assalto di 502 aerei B29 piombò su Tokyo, sganciando circa 4.000 tonnellate di bombe.2 Tokyo era ormai ridotta ad un ammasso di rovine.
Anche prima dell’attacco di Hiroshima, il generale dell’aviazione statunitense Curtis LeMay si vantò che i bombardamenti su Tokyo “avevano riportato i giapponesi all’età della pietra.” Henry H. Arnold, generale in capo dell’aviazione degli Stati Uniti, dichiarò nel 1949 nelle sue memorie: “Ci è sempre stato chiaro, bomba atomica o non bomba atomica, che i giapponesi erano già sull’orlo del collasso“. Questa valutazione venne confermata dall’ex primo ministro giapponese Fuminaro Konoye, il quale disse: “Fondamentalmente, la cosa che ci spinse alla resa fu il bombardamento prolungato dei B-29 su Tokyo“.2
A tale conferma è noto che il primo ministro Kantaro Suzuki voleva a tutto i costi ottenere la pace e che lo stesso imperatore, il 20 giugno convocò i membri del suo gabinetto per capire come terminare la guerra in modo onorevole. Il Giappone in pratica era un paese stremato, uno sbarco alleato non era affatto necessario per piegare definitivamente la resistenza dell’Impero del Sol Levante. Poche settimane di blocco navale avrebbero risolto definitivamente la faccenda.
La verità è che gli inermi civili giapponesi, in quel momento, furono orribilmente sterminati dagli Stati Uniti solo perchè l’allora presidente statunitense Harry Truman desiderava inviare un forte segnale d’avvertimento a Stalin, affinché, dopo aver sconfitto il nazismo, non si montasse troppo la testa considerandosi addirittura alla pari degli Stati Uniti; e che quindi non avanzasse troppe pretese post-belliche. Il messaggio rivolto all’Unione Sovietica era chiaro: a) noi abbiamo l’arma atomica e nessun altro; b) noi ora vi facciamo vedere gli effetti terrificanti e assolutamente inediti di questa nuova arma; c) noi vi dimostriamo che non abbiamo nessuno scrupolo a usarla, vi dimostriamo anzi che siamo così cinici e feroci da radere al suolo due intere città e le popolazioni civili inermi, e che quindi saremmo disposti a usare quest’arma contro chiunque. Quindi attenti a voi nelle trattative sugli assetti post-bellici.
Il primo segnale d’avvertimento era avvenuto pochi mesi prima, quando l’aviazione anglo-americana utilizzando bombe al fosforo aveva bombardato Dresda, “la Firenze tedesca”, città di una Germania che aveva ormai chiaramente perso la guerra. Il numero delle vittime del bombardamento di Dresda non fu mai accertato, si stima che possano esservi stati un numero variabile dai 120.000 ai 200.000 morti. Anche in questo caso si trattò comunque di un genocidio, che colpiva oltretutto una città per nulla strategica in termini militari: ma serviva esclusivamente a spaventare l’Armata Rossa che era entrata in Germania.3
Il secondo segnale fu il desiderio di dimostrare all’Unione Sovietica la forza degli Stati Uniti in tutta la sua brutalità e la capacità di non porsi alcun tipo di scrupolo verso le inermi popolazioni civili. Inoltre occorre considerare che l’imperatore giapponese Hirohito, decise di inviare a Mosca il principe Fuminaro Konoye con istruzione di negoziare la pace a qualunque costo. Ciò che Stalin ignorava era che i servizi segreti statunitensi erano al corrente dei suoi contatti con i diplomatici nipponici, perché avevano intercettato i messaggi inviati dal Ministro degli Esteri giapponese Shigenori Togo al suo ambasciatore a Mosca Naotake Sato.4 Nel suo studio del 1965, “Atomic Diplomacy: Hiroshima and Potsdam” (pp. 107-108), lo storico Gar Alperovitz scrive: “Il Joint Intelligence Committee (Comitato congiunto dell’Intelligence statunitense) si era reso conto che i tentativi del Giappone di giungere alla fine della guerra cercando un modo onorevole di accettazione dei termini della resa,metteva in rilievo il ruolo dell’Unione Sovietica“.2
Inoltre, l’Unione Sovietica, Paese che apportò il contributo più grande e subì le perdite più ingenti nella lotta contro il nazismo, pretese un risarcimento maggiore e la protezione contro potenziali attacchi futuri, con l’installazione in Germania, in Polonia e negli altri Paesi dell’Europa dell’Est di governi non ostili ai sovietici. I leader statunitensi e britannici conoscevano gli obiettivi dei sovietici e ne avevano riconosciuto, in maniera esplicita o implicita, la legittimità, per esempio in occasione delle conferenze dei Tre Grandi a Teheran e a Yalta. Questo non vuol dire che Washington e Londra fossero entusiaste che l’Unione Sovietica ricevesse tale ricompensa per il suo contributo in guerra; e senza dubbio c’era in agguato un potenziale conflitto con il principale obiettivo di Washington, cioè la creazione di un “libero accesso” per le esportazioni e gli investimenti americani nell’Europa occidentale, nella Germania sconfitta e nell’Europa centrale e orientale, liberate dall’Unione Sovietica. In ogni caso, anche le richieste più banali dell’Unione Sovietica avevano riscosso poco consenso, e ancor meno simpatia, presso i leader statunitensi dell’industria e della politica. Questi leader aborrivano il pensiero che l’Unione Sovietica potesse ricevere questo notevole risarcimento dalla Germania, perché tale salasso avrebbe escluso la Germania come potenziale mercato estremamente redditizio per le esportazioni e gli investimenti statunitensi. Negli Stati Uniti, l’élite politica ed economica era perfettamente consapevole che i risarcimenti tedeschi ai sovietici implicavano che gli stabilimenti delle sedi in Germania delle corporazioni americane come Ford e General Motors, che durante la guerra avevano prodotto ogni tipo di arma per i nazisti, avrebbero iniziato a produrre a beneficio dei sovietici invece di continuare ad arricchire i proprietari e gli azionisti statunitensi.4
Tuttavia, il 25 aprile 1945, Truman apprese che gli Stati Uniti avrebbero presto disposto di una nuova potentissima arma, la bomba atomica. Il possesso di quest’arma aprì ogni sorta di prospettive, estremamente favorevoli ma prima impensabili.5 Di sicuro non si ritenne più necessario impegnarsi in trattative difficili con i sovietici: grazie alla bomba atomica, pensavano fosse possibile costringere Stalin, malgrado i precedenti accordi, a ritirare l’Armata Rossa dalla Germania e proibirgli di avere voce in capitolo riguardo alla situazione tedesca dopo la guerra, installare regimi “pro-Occidente” e addirittura anti-sovietici in Polonia e altrove nell’Europa dell’Est.
Al tempo della resa tedesca nel maggio 1945, la bomba atomica era in parte completata, ma non ancora pronta. Così Truman temporeggiò il più a lungo possibile prima di dare finalmente il suo consenso a partecipare alla conferenza dei Tre Grandi a Potsdam nell’estate del 1945, quando sarebbe stato deciso il destino dell’Europa postbellica. Il presidente statunitense era stato informato che la bomba molto probabilmente sarebbe stata pronta per quel momento; pronta come dichiarò egli stesso in un’occasione, “per essere usata come un martello sulle teste di quei ragazzi del Cremlino“.6 Alla Conferenza di Potsdam, che durò dal 17 luglio al 2 agosto del 1945, Truman aveva difatti ricevuto la notizia a lungo attesa che la bomba atomica era stata testata con successo nel Nuovo Messico il 16 luglio. Da allora, non si preoccupò delle effettive proposte di Stalin, al contrario fece ogni tipo di richiesta; allo stesso tempo respinse tutte le offerte dei sovietici, per quanto riguarda per esempio i risarcimenti tedeschi, comprese le ragionevoli richieste basate sui precedenti accordi tra gli Alleati. Stalin, tuttavia, non dimostrò di volersi arrendere, nemmeno quando Truman tentò di intimidirlo sussurrandogli minaccioso all’orecchio che gli Stati Uniti avevano acquisito una nuova incredibile arma. Stalin non parve per nulla impressionato, ascoltò glaciale in silenzio e guardò Truman fisso negli occhi tanto da farlo sentire a disagio. Alquanto perplesso ed intimorito, Truman concluse che solo una dimostrazione effettiva della bomba atomica avrebbe persuaso Stalin a cedere.7

Stalin, Truman e Churchill
In sostanza quindi, Truman, russofobo, intimorito dalla personalità di Stalin nelle occasioni in cui aveva avuto modo di incontrarlo, in preda a complessi di inferiorità, era intenzionato ad utilizzare le bombe atomiche al fine di assicurarsi una posizione di preminenza in Estremo Oriente e nella speranza che uno Stalin impressionato da questa prova di forza, avesse rinunciato a quanto era stato promesso all’Unione Sovietica a Yalta.8 9
Fu solo dopo la guerra che l’opinione pubblica statunitense apprese degli sforzi del Giappone per porre termine al conflitto. Ad esempio, Walter Trohan, il reporter del Chicago Tribune, fu obbligato dalla censura di guerra a nascondere per sette mesi una delle storie più importanti della guerra. In un articolo apparso finalmente il 19 Agosto del 1945, sulle prime pagine del Chicago Tribune e del Washington Times–Herald, Walter Trohan rivelò che il 20 Gennaio del 1945, due giorni prima del suo commiato dall’incontro di Yalta con Stalin e Churchill, il presidente degli Stati Uniti Roosevelt ricevette un memorandum di 40 pagine dal generale Douglas MacArthur che descriveva cinque distinte proposte di resa da parte di funzionari giapponesi di alto rango. Questo memorandum mostrava che i giapponesi avevano offerto una proposta di resa praticamente identica a quella infine accettata dagli Stati Uniti nella cerimonia formale di resa del 2 settembre: vale a dire, resa incondizionata. L’autenticità dell’articolo di Trohan non fu mai messa in dubbio dalla Casa Bianca o dal Dipartimento di Stato, e per ragioni assai valide. Dopo che il generale MacArthur ritornò dalla Corea nel 1951, il suo vicino nelle Waldorf Towers, l’ex presidente Herbert Hoover, porse l’articolo di Trohan al generale e quest’ultimo confermò la sua esattezza in ogni dettaglio e senza necessità di ulteriori precisazioni.2
A tal proposito, lo storico inglese J. F. C. Fuller, nel suo “A Military History of the Western World” del 1987, a pagina 675 scrive: “La presidenza degli Stati Uniti non rese nota la volontà dell’imperatore giapponese di accettare una resa incondizionata, perché in tal caso l’utilizzo delle bombe atomiche sarebbe stato inaccettabile alle masse americane nutrite di propaganda“.
Poi ci fu l’indegna farsa di Norimberga. Certo, i gerarchi nazisti mandati al patibolo meritarono ampiamente le condanne a morte. Ma le sedie degli imputati avevano dei vuoti, perché mancavano tutti coloro che il nazismo lo avevano inizialmente sostenuto e finanziato in funzione anti-sovietica. E tra gli imputati, senza dubbio l’assente più illustre era il criminale di guerra Harry Truman, il presidente statunitense che affetto da russofobia, senza alcun scrupolo fece entrare il mondo nel terrore atomico, macchiandosi di gravi crimini contro l’umanità, usando come cavie, in bombardamenti assolutamente ingiustificabili sotto il profilo militare, i cittadini giapponesi di due città fino ad allora sostanzialmente intatte.1
Truman aveva esultato al bombardamento di Hiroshima, definendolo “il più grande evento della storia“.10 L’ipocrita Truman difese tenacemente il suo impiego della bomba atomica, affermando che “salvò milioni di vite” portando la guerra a una rapida conclusione. Giustificando la sua decisione, egli arrivò miserabilmente a dichiarare: “Il mondo noterà che la prima bomba atomica venne lanciata su Hiroshima, una base militare. Fu così perché volevamo evitare in questo primo attacco, per quanto possibile, l’uccisione di civili“. L’infamità di tale dichiarazione, resa sulle ceneri di padri, madri, figli, neonati, manifesta chiaramente l’infamità di questo meschino personaggio che gli Stati Uniti vantano di aver avuto quale loro presidente. L’affermazione di Truman fu un’affermazione assurda. In realtà, quasi tutte le vittime furono civili, e lo United States Strategic Bombing Survey (l’Indagine degli Stati Uniti sui Bombardamenti Strategici), pubblicato nel 1946, affermò nel suo rapporto ufficiale: “Hiroshima e Nagasaki vennero scelte come obbiettivi a causa della loro concentrazione di attività e di popolazione“.2 In realtà, sia Hiroshima che Nagasaki furono scelte perchè erano tra le poche città non ancora bombardate dall’aviazione statunitense e quindi adatte per mostrare a Stalin il potenziale distruttivo delle bombe. Purtroppo, ciò che è davvero scandaloso è che l’affermazione di Truman costituisce ancora oggi la tesi predominante in Occidente tanto che viene riportata acriticamente in gran parte dei libri di testo adottati nelle scuole. E’ una giustificazione che anticipa le odierne teorie delle “missioni umanitarie”.
Quando fu presa la decisione di sganciare le bombe atomiche, non tutti i gradi militari erano d’accordo. L’ammiraglio William Leahy disse: “Personalmente ero convinto che usarla per primi significasse adottare uno standard etico non dissimile a quello dei barbari nel Medioevo. Non mi avevano insegnato a fare la guerra in quella maniera, e pensavo che non si possono vincere le guerre sterminando donne e bambini.“.3
Una voce preminente del protestantesimo americano, il Christian Century, condannò fortemente i bombardamenti. Un editoriale intitolato “L’atrocità atomica americana“, nel numero del 29 Agosto 1945, scrisse ai lettori: “La bomba atomica è stata utilizzata in un momento in cui la marina giapponese era colata a picco, la sua aviazione praticamente distrutta, il suo territorio circondato, i suoi rifornimenti tagliati, e le nostre forze pronte per l’attacco finale. I nostri capi sembrano non aver soppesato le considerazioni morali inerenti. Non appena la bomba fu pronta venne inviata d’urgenza al fronte e lanciata su due città inermi. Si può dire onestamente che la bomba atomica ha colpito la stessa cristianità. Le chiese d’America – e con esse la loro fede – si devono dissociare da questo atto sconsiderato e inumano del governo degli Stati Uniti.”
Quando il generale Dwight Eisenhower venne informato, alla metà di Luglio del 1945 dal Segretario della Guerra Henry L. Stimson, della decisione di utilizzare la bomba atomica, rimase profondamente turbato. Egli espresse le proprie forti riserve sull’utilizzo della nuova arma nelle sue memorie del 1963, “The White House Years: Mandate for Change, 1953-1956″ nelle quali a pagina 312 e -313 scrisse: “Durante il racconto di Stimson, mi era venuto un senso di depressione e così gli espressi i miei gravi dubbi, primo sulla base della mia convinzione che il Giappone era già sconfitto e che sganciare la bomba non era assolutamente necessario, e secondo perché pensavo che il nostro paese dovesse evitare di scioccare l’opinione pubblica mondiale con l’utilizzo di un’arma il cui impiego, pensavo, non era più indispensabile per salvare vite americane. Era mia convinzione che il Giappone stava, proprio in quel momento, cercando qualche scappatoia per arrendersi nel modo meno disonorevole“.
Leo Szilard, uno scienziato di nascita ungherese che ebbe un ruolo determinante nello sviluppo della bomba atomica, nel 1960 manifestò la sua contrarietà all’utilizzo di quest’arma: “Il Giappone era essenzialmente sconfitto e fu sbagliato attaccare le sue città con bombe atomiche come se le bombe atomiche fossero state semplicemente una delle armi a disposizione. Se i tedeschi avessero lanciato bombe atomiche su delle città al posto nostro, noi lo avremmo definito un crimine di guerra, e avremmo sentenziato a Norimberga che i tedeschi erano meritevoli di morte per questo crimine, e li avremmo impiccati“.2
Dunque gli Stati Uniti utilizzarono le bombe atomiche esclusivamente per fini geopolitici e perchè Truman voleva dimostrare a Stalin di essere più forte e risoluto di lui. Stalin comprese il messaggio. Le bombe atomiche erano ormai parte integrante dell’arsenale statunitense. Ordinò quindi agli scienziati sovietici di profondere tutti i loro sforzi nello sviluppo di una bomba sovietica. La corsa era iniziata, è la responsabilità è tutta della Casa Bianca e non del Cremlino.
Oggi gli eccidi di Hiroshima e Nagasaki verrebbero definiti “crimini contro l’umanità”, ma nonostante tutto, Truman la fece franca e nessuno lo additò come un feroce dittatore e tanto meno la memoria storica dell’Occidente abbinò la sua figura a quella di un orribile macellaio e criminale di guerra, sterminatore di donne e bambini con l’arma più atroce che l’essere umano abbia mai sperimentato sulla propria pelle. Anzi, sul luogo delle commemorazioni ad Hiroshima, gli Stati Uniti imposero al Giappone di impiantare una lapide sulla quale è riportata una strana scritta: “Non ripetiamo mai l’errore“. Che attenzione letta superficialmente sembrerebbe riferirsi all’errore dell’utilizzo della bomba atomica, ma ricordiamo che è al Giappone è stato imposto di impiantarla con tale scritta perchè, oltre al danno subito doveva assumere su di sé la colpa suprema di aver combattuto una guerra contro gli Stati Uniti.
Luca D’Agostini
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Fonti
(1) Nagasaki
(2) Hiroshima
(3) Non dimenticare
(4) Jacques R. Pauwels, The Myth of the Good War: America in the Second World War, Toronto, 2002, pp. 201-05
(5) William Appleman Williams, The Tragedy of American Diplomacy, revised edition, New York, 1962
(6) Michael Parenti, The Anti-Communist Impulse, New York, 1969, p. 126
(7) Gar Alperovitz, Atomic Diplomacy: Hiroshima and Potsdam. The Use of the Atomic Bomb and the American Confrontation with Soviet Power, new edition, Harmondsworth, Middlesex, 1985 (original edition 1965)
(8) B. H. Liddell Hart, Storia militare della Seconda Guerra Mondiale, Mondadori, 1970, Milano, pag. 969
(9) Truman
(10) Atto inutile
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