L’Afghanistan riveste un ruolo di importanza strategica nel panorama geopolitico attuale e i paesi con cui confina hanno interessi particolari nella stabilità dell’area. Pechino ha acquistato l’80% dei diritti estrattivi in territorio afghano, dai minerali preziosi, al petrolio, agli idrocarburi. E fin quando l’Afghanistan non sarà stabilizzato la Cina non potrà accedere a queste risorse. L’Afghanistan, inoltre, rappresenta un prezioso retroterra strategico per il Pakistan in un eventuale conflitto con l’India. Altro attore regionale che guarda all’Afghanistan è l’Iran. Il Paese degli Ayatollah vuole un Afghanistan stabilizzato e con un livello di conflittualità contenuta ma tale da tenere gli Stati Uniti impegnati. Questi ultimi a loro volta traggono significativi vantaggi dalla loro presenza in Afghanistan. Hanno un accordo con il governo afgano per rimanere all’interno di basi militari ad uso esclusivo fino a tutto il 2024. Ovviamente l’accordo è rinnovabile. Basi strategiche che potrebbero essere usate contro tutti i paesi confinanti, l’Iran, la Cina, la Russia meridionale e caucasica, le repubbliche centro-asiatiche, il Pakistan e l’India centrosettentrionale.
Le forze statunitensi e della NATO hanno invaso l’Afghanistan più di 13 anni fa, nell’ottobre 2001. L’Afghanistan in quel momento fu considerato come uno stato sponsor del terrorismo e la guerra in Afghanistan continua a essere proclamata come una guerra di risposta agli attentati dell’11 settembre negli Stati Uniti.
I bombardamenti del 2001 e l’invasione dell’Afghanistan sono stati in modo ipocrita presentati all’opinione pubblica mondiale come una “guerra giusta”, una guerra diretta contro i talebani e al-Qaeda, una guerra per eliminare il terrorismo islamico e istituire la democrazia in stile occidentale. Le dimensioni economiche di questa guerra sono raramente menzionate. La “campagna anti-terrorismo” post 11 settembre è servita a nascondere i veri obiettivi della guerra degli Stati Uniti e dei suoi paesi alleati della NATO. La guerra in Afghanistan è parte di un programma guidato da nient’altro che da interessi geopolitici in quanto l’Afghanistan si trova in una posizione geografica strategica in Asia centrale, non distante dalla Russia meridionale, e confinante la Cina e l’Iran.
Nel 2010 in Occidente si è venuti a conoscenza che l’Afghanistan dispone anche di grandi riserve di petrolio e di gas, così come di una enorme ricchezza mineraria non sfruttata. Ma in questo caso l’Occidente è stato colto sul tempo dalla Cina la quale senza inviare neanche un soldato si è assicurata la gestione del futuro economico del Paese, acquistando l’80% dei diritti estrattivi in territorio afghano, dai minerali preziosi, al petrolio, agli idrocarburi, ma finché la situazione non è stabile non può procedere alla creazione degli impianti di estrazione.
I giacimenti minerari precedentemente sconosciuti, tra cui quelli di ferro, rame, cobalto, oro e metalli industriali critici come il litio, sono così grandi e comprendono così tanti minerali essenziali per l’industria moderna, che l’Afghanistan una volta stabilizzato sarà trasformato in uno dei più importanti centri minerari del mondo. Un memorandum interno del Pentagono, per esempio, afferma che l’Afghanistan potrebbe diventare il primo produttore al mondo del litio, una materia prima fondamentale per la produzione di batterie per computer portatili, telefoni cellulari e di autovetture elettriche. Allo stato attuale il Cile, l’Australia, la Cina e l’Argentina sono i principali fornitori di litio sul mercato mondiale. Bolivia e Cile prima che venissero scoperti i giacimenti in Afghanistan, erano i paesi con le maggiori riserve conosciute di litio.
Inoltre in Afghanistan esistono le maggiori riserve di rame presenti in Eurasia, consistenti riserve di ferro, minerali di cromo di alta qualità, di uranio, berillo, torio, barite, piombo, zinco, fluorite, bauxite, tantalio, smeraldi, oro e argento. Berillo, torio, tantalio e litio sono anche minerali fondamentali per l’industria aerospaziale.
Così, mentre all’opinione pubblica occidentale l’Afghanistan è stato presentato come un paese in via di sviluppo senza risorse, lacerato dalla guerra, la realtà è ben diversa: l’Afghanistan è un paese ricco, come confermato dalle recenti scoperte geologiche.
Il Paese possiede anche enormi giacimenti di carbone, uno dei quali, il deposito di ferro di Hajigak, nella catena montuosa di Hindu Kush, a ovest di Kabul, è valutato come uno dei più grandi giacimenti di alta qualità in tutto il mondo.
Trascurando le risorse energetiche e minerarie dell’Afghanistan, dopo l’invasione del paese gli Stati Uniti si sono però assicurati il controllo sul corridoio strategico dei trasporti trans-afghani, che collega il bacino del Mar Caspio verso il mare Arabico. Sono stati contemplati diversi progetti trans-afghani di oleodotti e gasdotti, tra cui il progetto da 8 miliardi di dollari della pipeline TAPI (Turkmenistan, Afghanistan, Pakistan, India), lunga 1.900 km, che trasporterà gas naturale turkmeno attraverso l’Afghanistan, in quello che viene descritto come un cruciale corridoio di transito. Il Turkmenistan possiede la terza più grande riserva di gas naturale al mondo dopo la Russia e l’Iran. Il controllo strategico sulle vie di trasporto fuori dal Turkmenistan era sull’agenda di Washington sin dal crollo dell’Unione Sovietica nel 1991.
Per quanto riguarda la situazione politica interna, dal 2007 sono in corso negoziati tra Stati Uniti e Talebani. L’ultima fase negoziale si è aperta nel 2018, con un’accelerazione a gennaio del 2019. Gli Stati Uniti appaiono molto più decisi a svincolarsi dalla guerra in Afghanistan e dunque aperti a maggiori concessioni che in passato. Nodo del contendere è la scelta di una data per il disimpegno statunitense che i Talebani avrebbero voluto stabilita entro la fine di quest’anno (2019) mentre gli Stati Uniti intendono fissare la data entro la fine del 2020.1
Il cammino negoziale è costellato da una serie di scontri militari e attentati dinamitardi, specialmente nella provincia di Wardak, a Kandahar e ad Herat. La violenza aumenta perché al di là delle parole e degli accordi teorici raggiunti al tavolo negoziale, ognuno degli attori, Stati Uniti e Talebani, vuole consolidare la propria posizione di forza. Questo è possibile solo continuando a colpire la controparte. Da questi dialoghi, è bene ricordarlo, è escluso il governo afghano. Appare evidente quindi che le sorti del Paese sono nelle mani degli Stati Uniti e dei Talebani, anche perchè le Forze armate afgane non sono in grado di fronteggiare da sole le forze talebane.
Per comprendere la situazione politica ed economica interna afgana è necessario analizzare alcuni numeri e indici fondamentali. I recenti dati forniti delle Nazioni Unite sono drammatici: nei primi nove mesi del 2019 oltre 8 mila civili sono stati vittime di violenze; 2.563 uccisi e oltre 5.500 feriti. I dati del ministero della Sanità afghano, rappresentano un paese sull’orlo del disastro totale. L’economia è praticamente ferma con il rischio concreto che i prezzi dei prodotti alimentari possano aumentare nei mesi invernali. Non solo, come ogni anno infatti, il rigido inverno asiatico, purtroppo causa eventi meteorologici estremi, che passano dalla siccità alle inondazioni.2
Fattore politico importante è rappresentato dalla pressione dei talebani che hanno ripreso il controllo di oltre l’80% del Paese.2 La questione della presenza delle forze di sicurezza della coalizione della NATO deve fare i conti con la mancanza chiara ed evidente di risultati pratici e con le casse dei singoli paesi finanziatori della missione.
Recentemente negli Stati Uniti è stato diffuso il rapporto sui costi dell’operazione, in essere da 18 anni. In operazioni belliche sono stati spesi almeno 1.500 miliardi di dollari, anche se la cifra è sottostimata considerando che non si conoscono i numeri relativi al costo dei contractors, reclutati dagli Stati Uniti per la guerra di prima linea e attualmente stimati nel numero di circa 6 mila persone.2
Per i contribuenti americani poi ci sono anche gli interessi finanziari maturati, pari a 500 miliardi di dollari, con le banche che hanno finanziato a credito l’operazione, portando la spesa a 2 mila miliardi di dollari. Inoltre, quel che è certo è che gli Stati Uniti hanno investito ufficialmente altri 87 miliardi per addestrare le forze afghane; altri 54 miliardi per la ricostruzione del Paese. Nulla invece è stato fatto per la lotta al narcotraffico, tanto è vero che l’Afghanistan infatti esporta nel mondo l’80% dell’eroina.2
Anzi, la guerra segreta degli Stati Uniti, vale a dire il suo sostegno ai cosiddetti “combattenti per la libertà”, i mujaheddin cioè i terroristi di al-Qaeda, è stata anche orientata verso lo sviluppo del commercio di oppiacei i cui proventi sono stati utilizzati dai servizi segreti degli Stati Uniti per finanziare la guerriglia contro i Sovietici. Protetto dalla CIA, il traffico di droga ha sviluppato negli anni affari altamente lucrativi di molti miliardi di dollari. E’ stata la pietra angolare della guerra segreta degli Stati Uniti nel 1980.3 4
Occorre essere realisti e ben informati delle dinamiche geopolitiche anziché continuare a dare retta ai vari politici dei governi occidentali e ai media mainstream al loro servizio: non è l’esportazione di democrazia e il benessere del popolo afgano che interessa i paesi occidentali. Di questo non sono affatto interessati. La presenza militare dei paesi della NATO in Afghanistan è motivata esclusivamente perché questo Paese si trova geo-politicamente al centro della scacchiera internazionale, un’area di primaria importanza strategica, crocevia tra Medio Oriente, Asia centrale, meridionale e orientale. Un Paese che è strategico soprattutto per le pressioni che gli Stati Uniti intendono esercitare su Russia, Cina e India. E’ esclusivamente questa la motivazione geopolitica che interessa le cancellerie occidentali.
Luca D’Agostini
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Fonti
(2) Futuro
(3) Michel Chossudovsky, America’s War on Terrorism, Global Research, Montreal 2005
(4) Michel Chossudovsky, Heroin is “Good for Your Health”: Occupation Forces support Afghan Narcotics Trade, Global Research, 29 aprile 2007
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