La Galizia nell’opinione pubblica è saldamente associata al nazionalismo ucraino. Tale opinione è suffragata dal fatto che la russofobia è il prerequisito di ogni candidato e partito politico che voglia ottenere successo nelle elezioni politiche in questo territorio, così come dal ruolo svolto dai nazionalisti ucraini della Galizia durante gli eventi del colpo di stato del 2004 e dall’intera storia del secolo scorso con la squallida formazione addirittura della divisione nazista “SS Galizien”.
Ma è sempre stato così? Un attento studio del passato dimostra il contrario. Per secoli la regione si chiamava “Galitskaja Rus” e mantenne orgogliosamente e coraggiosamente intatto il suo carattere russo. Fu possibile spezzare il suo spirito russo solo grazie ad una rigida e crudele repressione statale posta in atto dal potente apparato repressivo ed ideologico dell’Impero Austro-Ungarico, compreso l’uso del terrore di massa attuato nella fase finale.
La Galizia è una regione storica divisa attualmente tra la Polonia e l’Ucraina. Il Regno di Galizia e Lodomiria, o semplicemente Galizia, fu la più grande, la più popolata e la più settentrionale delle province dell’Impero Austro-Ungarico dal 1772 al 1918, con la città di Leopoli come capitale. Fu creata dai territori presi alla Confederazione Polacco-Lituana durante le Spartizioni della Polonia ed esistette fino alla dissoluzione dell’Austria-Ungheria, avvenuta alla fine della prima guerra mondiale.
La regione corrispondente a quella che sarebbe divenuta nota come Galizia era incorporata, in gran parte, nell’Impero della Grande Moravia. Ciò fu attestato per la prima volta nella “Cronaca degli Anni Passati”, nella parte riguardante il 981, quando Vladimir I il Santo della Rus’ di Kiev conquistò le città della Rutenia nella sua campagna militare sul confine con la Polonia.
Nel secolo seguente, l’area passò brevemente alla Polonia (dal 1018 al 1031) e quindi nuovamente alla Rus’ di Kiev. In quanto uno dei tanti successori della Rus’ di Kiev, il Principato di Haljč esistette dal 1087 al 1200, quando Roman il Grande riuscì infine a unirla alla Volinia nello stato di Galizia-Volinia.
Nonostante le campagne anti-mongole di Daniele di Haljč, che fu incoronato primo re di Galizia, il suo stato pagò occasionalmente tributo all’Orda d’Oro. Il figlio di Daniele, Lev, spostò la sua capitale da Haljč a Leopoli. La dinastia di Daniele tentò anche di ottenere il supporto papale e un più ampio sostegno in Europa, per un’alleanza contro i Mongoli, ma si rivelò incapace di competere con i poteri crescenti del Granducato di Lituania e Polonia. Negli anni 1340 la dinastia Rurikide si estinse, e l’area passò a Re Casimiro III di Polonia. Lo stato gemello di Volinia, assieme a Kiev, cadde, invece, sotto controllo lituano.
Ciò diede inizio ad un’era di forte insediamento polacco tra la popolazione rutena. Anche l’immigrazione armena ed ebraica nella regione ebbe cifre consistenti. Numerosi castelli furono costruiti durante questo periodo e vennero fondate alcune nuove città: Stanisławów (oggi Ivano-Frankovsk) e Krystynopol’ (oggi Červonograd).
Nel 1772 la Galizia costituiva la parte principale dell’area annessa dall’Austria nella prima spartizione. Come tale, la regione austriaca della Polonia e quella che sarebbe diventata poi l’Ucraina, erano note come il Regno di Galizia e Lodomiria, per sottolineare le pretese ungheresi sulla regione. Comunque, una grande porzione di terre etnicamente polacche ad ovest, fu aggiunta alla provincia, il che cambiò il riferimento geografico del termine Galizia. Leopoli era la capitale della Galizia Austriaca, che era dominata dall’aristocrazia polacca, nonostante il fatto che la popolazione della metà orientale della provincia fosse composta in maggioranza dai ruteni. In aggiunta all’aristocrazia ed ai proprietari terrieri polacchi che vivevano ad ovest ed ai ruteni che vivevano ad est, esisteva una numerosa popolazione ebraica, anch’essa molto concentrata nelle zone orientali della provincia.
Durante i primi decenni del dominio austriaco, la Galizia fu fermamente governata da Vienna e molte significative riforme furono realizzate da una burocrazia composta principalmente da tedeschi e cechi germanizzati.
Nel 1815, come risultato delle decisioni del Congresso di Vienna, l’area di Lublino e le regioni circostanti furono cedute dall’Austria al Regno del Congresso di Polonia, che era governato dallo Zar, mentre la regione di Ternopil’, compresa la regione storica della Podolia Meridionale, fu restituita all’Austria dalla Russia, che la deteneva fin dal 1809.
Gli anni dal 1820 al 1830 furono un periodo di governo assolutista da parte di Vienna, con la locale burocrazia galiziana ancora riempita di tedeschi e cechi germanizzati, anche se alcuni dei loro figli si stavano già “polonizzando”. Nonostante la sua rigida pressione, il governo di Vienna non riuscì ad obbligare i ruteni a sostituire l’alfabeto cirillico con quello latino.
Nel frattempo i ruteni, minacciati dall’assolutismo di Vienna e timorosi di perdere la loro tradizionale identità, si avvicinarono sempre più alla Russia. Fu proprio in questa occasione che fu coniata la parola “Russofili”, per identificare i ruteni che non volevano interrompere i legami con la Madre Russia.
Al tempo stesso, tra i ruteni influenzati dalla poesia in lingua ucraina del poeta ucraino Taras Ševčenko, sorse un movimento ucrainofilo che pubblicò opere letterarie in lingua ucraina. I sostenitori di questo orientamento si definivano comunque russi e solo successivamente, per iniziativa del governo austriaco divennero noti come “Ucraini”.
Per secoli, i galiziani, strappati al corpo unico della Russia, continuarono a considerarsi russi. Inizialmente come abbiamo analizzato, dovettero sopportare l’occupazione e la persecuzione polacca. Ma perfino l’Unione di Brest, intesa da Varsavia per dividere i russi attraverso la fede e trasformare i galiziani in polacchi, non ebbe successo. La Chiesa Uniate di rito orientale, composta principalmente da ruteni, fu rinominata “Chiesa greco-cattolica” per equipararla alla Chiesa Cattolica romana. Ma la stragrande maggioranza dei convertiti nel rito “greco-cattolico” considerava l’unione con la Chiesa Cattolica solo una concessione temporanea. Molti sacerdoti uniate predicarono a lungo l’unità con la Russia e non considerarono l’Ortodossia una confessione ostile. Solo sotto il metropolita Andrej Sheptjtskj la Chiesa greco-cattolica della Galizia iniziò gradualmente a trasformarsi in un meccanismo di influenza anti-russa e anti-ortodossa, ma anche allora la sua efficacia era piuttosto limitata. È significativo infatti che quando le truppe russe liberarono la “Galitskaja Rus” nella prima guerra mondiale, intere parrocchie, spesso guidate da sacerdoti, di propria iniziativa tornarono in massa alla fede dei loro antenati.
Fino alla guerra, la maggior parte dei galiziani erano definiti “Rusini” e si sentivano parte del popolo russo. E questa coscienza era davvero enorme e diffusa. In particolare, furono conservate numerose testimonianze dei partecipanti alla campagna ungherese delle truppe russe sotto il comando del feldmaresciallo conte Paskevic-Erivanskij nel 1849. Secondo le cronache del tempo, la popolazione della Galizia accolse con entusiasmo le truppe russe, vedendole come liberatrici, e si è definì esclusivamente “Rusini”.
Se non fosse stato per l’eccessiva cavalleria di Nikolaj I (Nicola I), il quale non intendeva approfittare della posizione catastrofica del giovane imperatore austriaco, l’annessione alla Russia delle terre liberate dall’esercito dell’impero russo sarebbe avvenuta senza la minima difficoltà, sotto l’unanime esultanza dei Rusini della Galizia.
L’aiuto disinteressato della Russia nel reprimere la rivolta nazionale ungherese salvò l’Austria dal collasso, ma Vienna subito dopo rimase inorridita nel vedere quanto forti fossero le posizioni della Russia tra la popolazione rutena. Lo stesso Michail Grushevskij, una delle figure più importanti dell’allora nazionalismo ucraino, un politico intriso di russofobia, fu costretto ad ammettere che la maggioranza dei ruteni fosse orientata verso Pietroburgo.
Così Vienna, comprendendo il rischio della secessione della Galizia, lanciò un programma attentamente studiato per garantire risultati a lungo termine, al fine di attuare una manipolazione dell’opinione pubblica dei Rusini.
Consapevole del fallimento della politiche precedenti, il cui strumento principale era il rifiuto dell’ortodossia e la transizione al cattolicesimo, fu scelto dal governo austriaco uno scenario fondamentalmente nuovo. L’intento della strategia del governo di Vienna, era convincere i galiziani di non essere Rusini, bensì “Ucraini”. In precedenza, questo nome non era affatto usato in Galizia, poiché, per inciso, non è mai stato trovato nelle opere di Taras Ševčenko, il quale infatti nel suo diario scrisse: “Il nostro cuore russo“.
Fu così dalla Galizia che iniziò la propaganda della “Grande Ucraina” come strumento per la distruzione dell’Impero russo attraverso l’incitamento al separatismo. Il percorso scelto, come dimostrato dall’esperienza della storia, risultò efficace e fu in seguito riutilizzato dall’Occidente per pianificare il colpo di stato in Ucraina mediante gli eventi di Maidan.
Individuando un piccolo gruppo di fanatici della lingua ucraina, i cui aderenti erano chiamati “Narodniks o Narodisti”, Vienna lavorò su di loro per avviare una nuova spinta ideologica. Lo scopo della politica austriaca era quello di rompere definitivamente la connessione interna dei Rusini con la cultura russa. A tal fine, costantemente, per oltre mezzo secolo, dal bilancio statale austriaco furono stanziati fondi significativi per la stampa di opere e materiale informativo che sostenevano l’odio verso la Russia e miravano a creare artificialmente il nazionalismo ucraino. Furono ideate borse di studio statali nello spirito anti-russo. Non solo venivano formati insegnanti russofobi, ma anche tutti i rappresentanti della classe media direttamente a contatto con la popolazione, quali medici, commercianti, impiegati e funzionari statali, per ottenere la licenza di lavorare oppure essere assunti, dovevano dimostrare attraverso test ed esami specifici il loro livello di russofobia.
Infatti il rifiuto di auto identificazione nella cultura russa divenne un prerequisito per l’accettazione nel servizio pubblico, che includeva istituzioni educative di tutti i livelli, dalle scuole elementari alle università.
L’essenza dell’ideologia del “popolo” fu infine formulata nel 1890 in un discorso nel gallego Sejm, nel quale il deputato Julian Romančuk, proclamò che i galiziani non avevano nulla a che fare con la Russia ed il popolo russo. È significativo che questo discorso programmatico dei “Narodisti” abbia causato un’indignazione estrema tra il popolo: in una riunione appositamente convocata di rappresentanti di oltre 6000 città e villaggi della Galizia, il discorso di Romančuk fu fortemente condannato ed i fogli riportanti il testo del discorso stesso furono bruciati.
La propaganda anti-russa inevitabilmente incontrò un costante rifiuto da parte del popolo. Come scrisse un eccezionale personaggio pubblico galiziano, lo scrittore e poeta Vasilij Vavrik: “Per le masse era incomprensibile predicare un odio animale per i «moscoviti». Per intuizione fedele, percezione diretta, giustamente erano coscienti della parentela con loro, così come con i bielorussi“.
Preso atto che la politica attuata non riusciva a scardinare nei Rusini il sentimento di amore verso la Madre Russia, il governo di Vienna iniziò ad attuare una vasta gamma di strumenti repressivi, i quali andavano dai divieti alla professione per i russofili fino all’avvio costante di procedimenti giudiziari per propaganda anti-austriaca. Contro le figure rutene più attive, furono organizzati processi con l’accusa di spionaggio a favore della Russia, sostenendo le accuse stesse mediante prove falsificate.
L’ulteriore fallimento della meschina politica attuata dal governo austro-ungarico, si mostrò in tutta la sua evidenza nei risultati elettorali per le elezioni del Reichstag austriaco del 1907. Infatti cinque deputati che condividevano apertamente l’ideologia dell’unità alla cultura russa furono eletti in parlamento dai Rusini della Galizia, nonostante i tentativi di boicottaggio dell’apparato repressivo austriaco.
Nell’anno successivo, alle elezioni per la dieta galiziana, nonostante gravi frodi durante il conteggio dei voti, i rappresentanti dei partiti russofili e anti-russi eletti dalla popolazione rutena ricevettero un numero uguale di seggi.
Il fatto che nonostante la repressione austriaca, lo spirito russo vivesse tra il popolo della Galizia fu dimostrato dagli eventi del 1914-1915, quando la maggior parte dei Rusini incontrò le truppe russe con gioia come fecero già nel 1849.
Ma, nonostante tutta la resistenza della popolazione russofila, la politica di “ucrainizzazione” statale dei ruteni, attuata per decenni dal governo austriaco, iniziò a dare risultati all’inizio del XX secolo. Prima della guerra, era già stato formato uno strato fanatico sufficientemente ampio, cresciuto sull’ideologia degli ucraini anti-russi. La nuova “intellighenzia ucraina” divenne pienamente dominante dopo la ritirata delle truppe russe dalla Galizia, avendo opportunità illimitate per la distruzione dei loro oppositori ideologici con l’aiuto degli austriaci.
Lo scrittore e poeta galiziano Vasilij Vavrik, passando attraverso l’inferno dei campi di concentramento austriaci di Terezin e Talerhof, scrisse del lavoro dei Giuda ucraini, predecessori di quelli di Maidan: “I gendarmi ucraini svolsero il ruolo di Caino a causa dei loro doveri. Pertanto, è possibile perdonare le province in una certa misura, ma il lavoro dell’intellighenzia galiziano-ucraina è degno della più acuta condanna pubblica. I «piccoli guerrieri» hanno aggredito i prigionieri nei Carpazi uccidendoli con le baionette, solo perchè tali prigionieri seppur galiziani erano considerati filorussi. Questa feccia, glorificata dai giornali ucraini come eroi popolari, picchiò a sangue i loro concittadini, li linciò e li forni ai tedeschi per lo sterminio“.
Il ritiro delle truppe russe significò la fine della presenza dell’anima russa in Galizia. Comprendendo perfettamente ciò che li avrebbe attesi dopo il ritorno sotto il governo austriaco, oltre 100.000 Rusini abbandonarono la loro terra natale e le loro case rifugiandosi per sempre in Russia, muovendosi insieme alle truppe russe in ritirata per evitare di essere inseguiti ed aggrediti. Interi villaggi furono totalmente abbandonati come ad esempio il villaggio galiziano di Skomorokhi, dove il totale degli abitanti partirono tutti insieme affrontando un lungo viaggio sui carri trainati dai cavalli per stabilirsi poi in un villaggio alla periferia di Penza in Russia.
Coloro che decisero di rimanere e non abbandonare le loro case, furono vittime del terrore degli austriaci e dei loro complici locali. Circa 120.000 persone furono sottoposte a terrore di massa. Esecuzioni sommarie, torture ed imprigionamenti nei campi di concentramento, da cui pochi sono tornati vivi, sterminarono il restante della popolazione dei Rusini. Più di trecento sacerdoti greco-cattolici sospettati di simpatia russa furono giustiziati mediante impiccagione.
La splendida popolazione rutena della Galizia, contraria all’ideologia della russofobia ed intenta a tramandare di generazione in generazione lo spirito dell’unità con la Madre Russia, era sparita.
L’Impero Austro-Ungarico continuò ad esistere per diversi mesi, ma prima della sua caduta riuscì a realizzare il piano della totale “ucrainizzazione” della Galizia.
Luca D’Agostini
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