Ai vecchi tempi veniva insegnato a scuola, ora si prova a dimenticarlo.
Arkadij Petrovič Golikov (questo è il vero nome di Gajdar) nacque nel gennaio del 1904 a Lgov, una piccola città nella regione di Kursk, nella famiglia di un insegnante di scuola di contadini, sposato con una nobildonna lontana parente del poeta russo Lermontov. I genitori di Arkadij non erano estranei alle idee rivoluzionarie, la madre dopo la rivoluzione divenne un’appassionata bolscevica e nel 1924, morendo lasciò a suo figlio una dignitosa eredità.
Arkadij aveva tre sorelle, si rivelò essere un buon figlio ed un buon fratello, ed in seguito un buon padre. Era intelligente ed appassionato di lettura e se fosse vissuto in un altro momento storico, probabilmente avrebbe lasciato un bel ricordo di se stesso.
All’età di 14 anni, subito dopo la rivoluzione, il sogno di una società giusta lo portò ad aderire ai bolscevichi. Nell’agosto 1918 si unì al partito e a dicembre si offrì volontario per l’Armata Rossa. Come scriverà in seguito: “Occorreva combattere per il luminoso regno del socialismo“.
Combatté in Ucraina, sul fronte polacco, nel Caucaso. Nel 1921 si diplomò alla Scuola di Fanteria, ottenne il grado di colonnello e gli fu affidato il comando di un reggimento. Partecipò alla soppressione della rivolta di Antonov nella regione di Tambov, quindi fu inviato in Cakasia per combattere “l’imperatore della taiga” Ataman Solov’ev .
Golikov non riuscì mai a catturare Ataman Solov’ev ma durante questo periodo ottenne il soprannome di Gajdar e lasciò pessimi ricordi se stesso. Nelle battaglie della guerra civile, Gajdar mostrò una crudeltà assoluta.
Quando Gajdar divenne un famoso scrittore, in Cakasia i testimoni oculari dei suoi crimini avvenuti nei primi anni ’20, preferirono tacere. Solo occasionalmente qualcuno descrisse il crudele carattere del comandante bolscevico. Questo carattere era in pratica frutto della sua follia e si manifestò nei crimini commessi da Arkadij Golikov il quale, nel tentativo di catturare Ataman Solov’ev, non risparmiò la vita di anziani, donne e bambini della popolazione civile che lui riteneva a suo insindacabile giudizio sostenere Ataman Solov’ev. Golikov (il futuro Gajdar) partecipò personalmente alle esecuzioni sommarie di anziani, donne e bambini, anche di tenera età.
Voci delle atrocità di Golikov raggiunsero le autorità di Mosca. Sebbene i governanti di allora non fossero affatto dei sentimentali, l’ufficiale fu rimosso dal suo incarico, espulso dal partito ed inviato in un ospedale psichiatrico. Qui i medici diagnosticarono una grave nevrosi traumatica, con compromissione funzionale ed aritmie cardiache. Quindi, nel novembre del 1924, all’età di vent’anni fu definitivamente espulso dall’esercito.
Il giovane, con una grave malattia mentale, senza appoggi istituzionali e senza denaro, dovette iniziare una nuova vita. In questa circostanza la sua brama di letteratura tornò utile: il soldato della rivoluzione Golikov decise di diventare lo scrittore della rivoluzione Gajdar. È vero, la sua prima storia, “Ai tempi delle sconfitte e delle vittorie“, pubblicata sulla rivista letteraria “Bucket” di Leningrado nel 1925, era ancora firmata con il suo vero nome. La storia era poco interessante e passò inosservata.
Esistono molte versioni sull’origine dello pseudonimo letterario Gajdar. La versione più probabile fu espressa dal figlio dello scrittore: “G” è la prima lettera del vero nome di Golikov, “aj” sono la prima e l’ultima lettera del nome, “d” in francese significa “da”, e “ar” sono le prime due lettere della sua città dove è cresciuto, Arzamas.
Inizialmente, per diversi anni, Gajdar lavorò come giornalista in diverse zone del Paese, nel Donbass, negli Urali, in Estremo Oriente. Scrisse molto ma la malattia mentale non lo abbandonava. Nel suo diario Gajdar scrisse che sognava con incubi le persone uccise da lui. Si ubriacava in continuazione. Provò a suicidarsi e fu rinchiuso altre volte in ospedali psichiatrici.
A metà degli anni ’20, Gajdar si sposò a Perm con il membro locale del Komsomol (L’Unione della Gioventù Comunista Leninista di tutta l’Unione) Lea Solomianskaja e nel 1926 nacque il loro figlio Timur. Dopo cinque anni di matrimonio sua moglie lo lasciò. “Non c’è nessuno che si prenda cura di me” scrisse nel 1931 Gajdar nel suo diario mentre era ricoverato in un ospedale psichiatrico.

Gajdar con la moglie ed il figlio
Nell’autunno del 1932 Gajdar decise di stabilirsi a Mosca. I suoi libri furono pubblicati dalle case editrici della capitale. All’inizio non aveva un alloggio, niente soldi, ma la fama dello scrittore crebbe di libro in libro ed il successo letterario arrivò. A metà degli anni ’30 Gajdar si sposò di nuovo.
Negli anni ’30 furono pubblicate le opere più famose di Gajdar: Scuola, Paesi lontani, Segreto militare, Fumo nella foresta, Coppa blu, Il destino di un batterista, Timur. Queste opere erano una buona letteratura per i bambini. Quasi tutte le sue opere sono intrise di un’eco di guerra, un senso di guerra, una premonizione di guerra. I suoi giovani eroi nella “Scuola” e nel “Il destino del batterista” iniziano la loro vita adulta con un colpo al nemico. Lo scrittore nelle sue opere conferisce un aspetto romantico alle lotte, alle battaglie e alle guerre.
Quando iniziò la Grande Guerra Patriottica, Arkadij Gajdar chiese di essere inviato al fronte, ma gli fu rifiutato a causa della sua condizione mentale. Ma lo scrittore non si arrese, si recò al giornale Komsomolskaja Pravda ed il 20 luglio 1941, meno di un mese dopo lo scoppio della guerra, partì per Kiev come corrispondente di guerra. Quando il battaglione dell’Armata Rossa presso il quale si trovava fu circondato, Gajdar riuscì a fuggire ed a raggiungere una formazione di partigiani che si era nascosta in una foresta. Si unì ai partigiani, abbandonò l’attività di giornalista e divenne un mitragliere. La mattina del 26 ottobre 1941, Gajdar con un secchio stava attingendo acqua da un pozzo vicino alla ferrovia, nella periferia della città ucraina di Kanev. Mentre raccoglieva l’acqua notò i tedeschi che erano nascosti ed appostati nei dintorni del pozzo. Gridò: “Ragazzi, i tedeschi!“. Dopo l’urlo fu ucciso immediatamente da un solo proiettile che lo colpì al cuore. Aveva 37 anni. Il suo urlo riuscì ad allertare gli altri partigiani i quali riuscirono a salvarsi dileguandosi tra la vegetazione circostante.
Chi era davvero Arkadij Gajdar? Un eroe, un criminale, un malato mentale? Ci vorranno ancora molti anni prima che la storia dia un nome preciso alla sua figura.
Luca D’Agostini
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Fonti
Аркадий Гайдар
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