Oggi Scapa Flow conserva ancora sul fondale del mare un considerevole numero di relitti e rappresenta certamente uno dei maggiori cimiteri di navi del pianeta ed un luogo di elevato valore storico. Scapa Flow, situata nelle Isole Orcadi, nell’estremo nord della Scozia, era usata come punto di ancoraggio sicuro fin dai tempi dei Vichinghi. Era considerata la più importante base navale della marina militare britannica, una base navale inattaccabile e praticamente impenetrabile, eppure il comando militare nazista elaborò un piano per sferrare a Scapa Flow un attacco memorabile.
Quali furono le ragioni di una simile audacia? Quale motivo spinse i militari tedeschi a un destino che per i più poteva essere la morte? La Kriegsmarine (marina militare tedesca), nell’ottobre del 1939, a guerra da poco iniziata, era indubbiamente in cerca di un prestigio che nei mesi successivi non sarebbe tardato ad arrivare, e allo stesso tempo aveva bisogno d’intaccare il morale della Royal Navy (marina militare britannica), il cui dominio dei mari era incontestabile. Per tale ragione Scapa Flow era il bersaglio perfetto, un obiettivo che avrebbe giustificato la sfida delle potenti difese inglesi e delle fortissime correnti in grado di mettere in crisi qualsiasi sommergibile avesse provato a effettuare un immersione in quelle infide acque. Ma, a conti fatti, non si trattava di sola propaganda. C’era anche un vecchio conto da regolare, un affronto da vendicare: solo così sarebbe stato possibile chiudere un capitolo oscuro che agitava i sogni di qualsiasi ufficiale tedesco. Proprio a Scapa Flow infatti, all’alba del 23 novembre 1918, in base ai durissimi termini dell’armistizio di Compiègne (11 novembre 1918) e del successivo trattato di Versailles, fu internata l’intera Hochsceflotte (Flotta d’Alto Mare tedesca), composta da 74 navi militari, in attesa di essere spartita tra le potenze vincitrici. L’ammiraglio britannico Beatty sottopose la flotta tedesca ad umiliazioni continue, non previste dall’armistizio, negando alla flotta tedesca ogni aiuto alimentare, limitando la fornitura di nafta e di carbone al minimo indispensabile e vietando categoricamente agli equipaggi, ufficiali compresi di mettere piede a terra. Gli equipaggi tedeschi, guidati dall’ammiraglio Ludwig von Reuter, reagirono con disciplina e senso del dovere anche quando i viveri cominciarono a scarseggiare. I Britannici non rifornivano le navi tedesche che per poter sopravvivere erano costrette a basarsi sui scarsi rifornimenti dalla Germania o dalla pesca delle aringhe. I marinai con ami di fortuna e carne in scatola come esca, riuscivano a pescare in abbondanza, in alternativa c’erano sempre i gabbiani. Il freddo arrivò presto e le scarse dotazioni di carbone non consentivano di potersi riscaldare. Insomma un inferno, mentre le diplomazie erano ancora intente a trovare un accordo di pace. Nella drammatica notte del 21 giugno 1919, per evitare che la flotta tedesca finisse in mano britannica, l’ammiraglio tedesco Ludwig von Reuter diede il terribile ordine a tutte le navi internate a Scapa Flow di autoaffondarsi. Ben 52 grandi navi militari tedesche colarono a picco mentre erano ancorate nella base. Le navi inglesi di sorveglianza, assistendo al simultaneo affondamento delle navi tedesche aprirono il fuoco sulle scialuppe che issavano la bandiera bianca, uccidendo otto marinai tedeschi e ferendone una ventina. L’ammiraglio von Reuter fu tratto in arresto e considerato alla stregua di un prigioniero di guerra, come il resto degli equipaggi. Tutta questa storia, considerata una terribile offesa, nei sentimenti degli alti ufficiali tedeschi doveva essere vendicata a qualsiasi costo. Era il grande sogno cullato dal supremo comandante della flotta sottomarina nazista, Karl Dönitz.
Ma c’era anche una ragione strategica per l’attacco. I tedeschi pensarono che un attacco riuscito a Scapa Flow avrebbe costretto la marina militare britannica a uscire dalla loro base strategica. Speravano che riducendo il numero di navi da guerra britanniche nella zona, il blocco del Mare del Nord da parte dei britannici sarebbe divenuto meno efficace e avrebbe consentito alla Germania maggiore libertà nell’attaccare i convogli di aiuti statunitensi che viaggiavano nell’Atlantico settentrionale.
Per avere una minima possibilità di successo era necessario disporre di tutte le informazioni possibili sulle caratteristiche della base e dei canali d’accesso percorribili. Furono pertanto predisposte accurate ricognizioni aeree e sottomarine per vagliare i possibili punti deboli del sistema difensivo inglese, anche se a quanto pare i risultati furono davvero poco incoraggianti. Il comandante di un sottomarino U-14 mandato in avanscoperta così si espresse nella sua relazione di servizio: «Il nemico ha naturalmente sistemato degli sbarramenti alle diverse entrate della rada: reti, mine, palizzate, relitti. I passaggi principali sono particolarmente ben protetti. Pare che il traffico venga smaltito attraverso “Hoxa Sound” (in inglese, “sound” indica uno stretto o un’insenatura), pattugliato per lo meno da una corvetta e chiuso da uno sbarramento di reti che viene aperto soltanto in occasione dell’entrata o dell’uscita di navi da guerra e pescherecci. Sulla costa orientale, “Kirk Sound” e “Skerrt Sound”, che vengono subito dopo “Holm Sound”, sono ostruite da scafi affondati. Inoltre le correnti di marea sono molto violente. Gli altri passaggi sono impraticabili a causa di bassifondi e secche. Le correnti in certi punti superano i 10 nodi. E’ evidente che i nostri sommergibili, che non sviluppano in immersione una velocità maggiore di 7 nodi, sarebbero in balia delle correnti e delle contro correnti». Di fronte a tale relazione di servizio redatta dal comandante di un sottomarino tedesco inviato in ricognizione, risulta del tutto evidente che un attacco a Scapa Flow avrebbe comportato quasi certamente il fallimento della missione per chiunque fosse stato così folle da provarci.
Eppure un punto debole nel sistema di difesa inglese sembrava esserci, e non tardò a essere rilevato. Dopo un’attenta analisi delle informazioni ottenute, in special modo delle foto della ricognizione area effettuata dalla Luftwaffe, Dönitz e il suo staff, come ricordato nelle sue memorie, riuscirono a localizzare un possibile accesso: “Holm Sound, non è sbarrato che da due piroscafi apparentemente affondati al traverso del canale di Kirk Sound e da un altro po’ più a nord. A sud di essi, fino a Lamb Holm, esiste una breccia larga 170 metri con un battente d’acqua di sette metri fino ai bassifondi. A nord di questi si trova pure una breccia, più stretta. Sulle due rive, la costa è pressoché disabitata. Ritengo possibile entrare di là, in superficie, durante la fase di stanca dell’alta marea. La navigazione costituirà la difficoltà principale“.
Un solo possibile varco (il canale di Kirk) quindi, da attraversare nelle più terribili condizioni di navigazione e cosa davvero poco piacevole in emersione, a poca distanza dalla terraferma. Che non ci fossero insediamenti sulla costa era un dato positivo, ma la presenza di una strada significava possibile traffico civile o militare, in grado di dare l’allarme rapidamente. Perché quel tratto di canale fosse sgombro era un mistero: avrebbe dovuto esserci un’ostruzione, ma così non era. L’arcano sarebbe stato risolto, per i non addetti ai lavori, solo trent’anni dopo, quando i documenti segreti militari furono declassificati. E il risultato fu sorprendente. Per ironia della sorte, l’ultima nave per ostruirlo avrebbe dovuta essere affondata il giorno 14 ottobre, cioè poche ore dopo l’attacco nazista. Strano gioco del destino, di cui però i tedeschi erano all’oscuro. Kirk Sound era l’unica possibilità per entrare a Scapa Flow e andava tentato il tutto e per tutto. Questo era in sintesi il quadro, ben poco invogliante, che l’ammiraglio Dönitz presentò al giovane comandante di un sottomarino, Günther Prien, il 1° ottobre 1939, specificando che avrebbe avuto quarantotto ore per pensarci e decidere se guidare quella missione. Non ce ne fu bisogno. Il giorno successivo il tenente di vascello Günther Prien accettò l’incarico senza esitazioni: avrebbe condotto il suo sommergibile nel cuore di Scapa Flow.

Günther Prien
Fu così che il sottomarino tedesco U-47, un U-Boot oceanico tipo VIIB, lasciò il porto tedesco di Kiel l’8 ottobre 1939 con una tabella di marcia calcolata con il preciso scopo di arrivare in prossimità della base nemica all’imbrunire del 13 ottobre 1939, data significativa del calendario perché avrebbe garantito un livello di marea favorevole e in particolar modo sarebbe stata una notte senza luna. Sebbene alla partenza, per evitare qualsiasi fuga di notizie e quindi avvantaggiare il nemico, solo il secondo e l’ufficiale di rotta fossero stati messi al corrente dell’obiettivo, il resto dell’equipaggio si rese conto che non si trattava di una semplice missione: furono infatti imbarcati i viveri in eccesso e caricati i nuovi siluri a propulsione elettrica, modello G7 e T2, in sostituzione di quelli ad aria compressa che provocavano vistose scie in superficie a causa dell’aria in risalita.
Il viaggio verso le Isole Orcadi fu piuttosto tranquillo e privo di intoppi, a parte una fastidiosa infiltrazione d’acqua salata in una delle casse esterne di gasolio del motore di destra che rese necessario uno stop. Prien diede ordine di adagiare l’U-47 sul fondale per permettere al direttore di macchina di effettuare le riparazioni del caso che furono effettuate a tempo di record. Pertanto la fase di avvicinamento all’arcipelago non subì particolare ritardo. Ora però veniva la parte più pericolosa e difficile della missione. Conscio della posta in palio, il comandante Prien mise al corrente della missione in atto tutto l’equipaggio, rendendolo partecipe delle grandi difficoltà che si sarebbero trovati ad affrontare. Verso le 23:07 del 13 ottobre 1939 l’improvvisa apparizione di un mercantile inglese costrinse l’equipaggio a una rapida immersione, dopodiché intorno alle 23:30 l’U-Boot si inoltrò nello specchio di mare denominato Holm Sound, che conduceva verso il canale di Kirk, delimitato a est dalle isole di Burry e South Ronaldsay. Ma nell’oscurità più totale Prien non si rese conto d’aver preso il passaggio più a sud, lo Skerry Sound, finché si trovò di fronte due navi affondate, la Seriano e la Numidian, e si infilò furtivamente nel varco libero a nord. Fu il momento più delicato della missione. A un certo punto un cavo sporgente da uno dei due relitti fece incagliare l’U-47: impossibilitato a procedere, Prien fu costretto a ordinare una serie di rapide manovre nel tentativo di liberarsi. Furono alcuni momenti interminabili, ma l’inconveniente si risolse positivamente per i tedeschi. Tuttavia un nuovo pericolo si palesò quando i fari di una macchina isolata illuminarono per alcuni secondi il battello. Non fu dato comunque alcun allarme, il conducente non si accorse di nulla e procedette nella sua corsa. L’ultimo ostacolo, il più problematico era stato superato: la corrente e il livello di marea così temuti erano stati preziosi alleati del sommergibile nazista.
Esattamente alle 00:27 del 14 ottobre l’U-47 entrò nella grande rada di Scapa Flow. Ora però era necessario dare la caccia alle tanto agognate prede. Il sottomarino tedesco in un primo momento mantenne una rotta verso sud-est per alcuni chilometri, ma non fu avvistata nessuna unità nemica. In realtà alcune navi da guerra inglesi, tra cui il nuovo incrociatore Belfast, erano a otto chilometri di distanza, ancorate a debita distanza una dall’altra per espressa disposizione dell’ammiraglio Forbe onde evitare inutili concentramenti di navi in caso di raid nemico. Però Prien non riuscì ad avvistarle, per cui diede ordine di invertire la rotta. Solo a quel punto, navigando in direzione opposta, riuscì a intravedere le sagome di due unità nemiche a circa quattro chilometri di distanza verso nord. La prima in linea d’aria fu correttamente identificata come una corazzata da 33mila tonnellate e dalla lunghezza di 187 metri, classe Revenge, la HMS Royal Oak.

Corazzata HMS Royal Oak
Le navi erano ancorate e quindi erano immobili e, data la tarda ora, non si vedevano attività di sorta in coperta. Inoltre non furono identificate unità di pattugliamento in quello specchio di mare: gli inglesi sembravano certi dell’inviolabilità della loro base navale, pensando che nessun sottomarino nemico sarebbe stato così folle da tentare una simile impresa. Per Prien tale presunzione fu un aiuto insperato. Nonostante la tensione di quei febbrili momenti, il comandate tedesco mostrò una calma glaciale. I suoi uomini erano ai posti di combattimento e aspettavano nervosamente solo il fatidico ordine, che arrivò alle 00:58. Solo tre dei quattro siluri lanciati dai tubi di prua si diressero verso gli obiettivi, il quarto rimase bloccato per un’avaria al meccanismo di lancio. Passarono tre minuti e mezzo, dopodiché fu udita una singola esplosione. Un siluro aveva centrato la prua della HMS Royal Oak, svegliando di soprassalto l’equipaggio. Eppure inizialmente gli inglesi non si resero conto della gravità dell’attacco, sospettando si fosse trattato di un’esplosione accidentale in uno dei magazzini di materiale infiammabile. Non era d’altronde la prima volta che si verificava una cosa simile: già nel 1917 la nave da battaglia HJMS Vanguard, sempre a Scapa Flow, era stata protagonista di un evento del genere. Pertanto gli ufficiali diedero ordine di accertarsi che la temperatura di tali locali fosse nella norma e molti marinai, per nulla allarmarti, decisero di tornare a dormire nelle brande. Per gli inglesi l’idea di un attacco nemico era qualcosa da non prendere neppure in considerazione. Questa rilassatezza sarebbe stata pagata cara. Infatti Prien, dopo aver dato ordine di ricaricare i tubi lanciasiluri, decise di sferrare un secondo attacco sull’unità nemica. Alle ore 01:23 da una distanza di soli 1500 metri una seconda salva di siluri cominciò la sua corsa, dopodiché tre tremende esplosioni squarciarono il centro della corazzata HMS Royal Oak. Nel porto scoppiò l’inferno. Lo scafo della nave britannica fu letteralmente sollevato e dagli squarci il mare incominciò a entrare copioso. In pochi secondi la corazzata si inclinò di 15 gradi a dritta, permettendo all’acqua di infilarsi anche dagli oblò. Pochi minuti dopo lo sbandamento raggiunse i 45 gradi stabilizzandosi per alcuni attimi, dopodiché con incredibile rapidità la corazzata si capovolse portando a picco con sé centinaia di marinai britannici, incluso Henry Blagrove, comandate della Seconda Divisione navi da battaglia.
Mentre si consumava questa tragedia, l’U-47, silenziosamente come era arrivato, e ripercorrendo la stessa rotta dell’andata alla velocità di 10 nodi, nonostante una fortissima corrente contraria, riuscì a ripassare il canale di Kirk senza essere notato e arrivare in mare aperto illeso. Per i superstiti della HMS Royal Oak iniziò una vera odissea, resa ancora peggiore dalle gelide acque di ottobre del Mare del Nord. Con indosso esclusivamente abbigliamento da notte, molti marinai cercarono di nuotare fino a riva (distante ottocento metri) ma la presenza di combustibile in mare e la rigidità del clima non ebbero pietà. Pochissimi di loro raggiunsero la terraferma. In totale, l’attacco tedesco e l’affondamento della corazzata HMS Royal Oak provocò la morte di 883 marinai britannici. Per altri la salvezza arrivò dalle operazioni di salvataggio poste in atto dagli equipaggi delle navi ancorate nella base. Le operazioni di salvataggio si conclusero alle 04:00 della notte e consentirono di mettere in salvo 386 marinai britannici, tra cui il comandante della nave William Benn.
Per l’Alto Comando inglese la tragedia fu un fulmine a ciel sereno. Era impossibile pensare che la base navale più munita dell’impero fosse stata colpita al cuore da un attacco nemico. Cominciò pertanto a materializzarsi una ridda di ipotesi: possibile esplosione a bordo, attacco dal cielo e tante altre incredibili e fantasiose versioni, ma non che potesse essere stato un sottomarino. E per ironia della sorte l’equipaggio dell’U-47 fu informato dell’incredibile successo proprio dalle trasmissioni della BBC: il notiziario diede infatti notizia della sorte della HMS Royal Oak quando l’U-Boot era ancora in navigazione e il messaggio fu captato dalla radio bordo. Presto anche tutte le stazioni tedesche ne vennero informate con dovizia di particolari. Il 17 ottobre 1939 un affranto Winston Churchill, di fronte alla Camera dei Comuni, svelò i retroscena dell’attacco. Riferendosi alle capacità messe in luce dall’avversario, si espresse in questi termini: “un rimarchevole successo di capacità professionali e audacia“. Alcuni palombari immersisi sul relitto nei giorni successivi all’affondamento avevano infatti trovato i resti di un siluro tedesco: non c’erano più dubbi pertanto sulle modalità di attacco.
Le conseguenze che ne seguirono furono drastiche. La flotta inglese fu trasferita in altri porti in attesa che a Scapa Flow si operassero tutti i miglioramenti necessari: potenziamento delle difese, sbarramento dei canali e aumento delle reti di protezione. Furono poi rafforzati i pattugliamenti agli ingressi a est e vennero chiusi con dighe artificiali per creare una barriera impenetrabile, per la cui realizzazione vennero impiegati molti prigionieri di guerra italiani.
In Germania invece l’arrivo del sottomarino U-47, avvenuto alle 11:44 del 17 ottobre 1939, fu festeggiato come un successo senza precedenti. La propaganda nazista diede ampio rilievo all’accaduto e i membri dell’equipaggio furono salutati come eroi. Il comandante Prien fu premiato con l’ambita Croce di Ferro di prima classe, mentre tutto il suo equipaggio fu premiato con la Croce di Ferro di seconda classe. Prien divenne il primo membro della Kriegsmarine a ricevere questa alta onorificenza e fu soprannominato “il Toro di Scapa Flow”, tanto che un toro fu verniciato sulla torretta esterna dell’U-47, e divenne l’emblema dell’intera 7° flottiglia di U-boot.
Fu proprio un raggiante Hitler a voler consacrare il successo nel modo più degno possibile: l’intero equipaggio del sottomarino fu trasportato a Berlino con il suo aereo personale. Günther Prien fu ricevuto dal Führer con tutti gli onori, un privilegio riservato a pochi.

Günther Prien ricevuto da Hitler
Günther Prien morì, insieme a tutto l’equipaggio dell’U-47, il giorno 8 marzo 1941, in quanto colpito e affondato in acque islandesi dal cacciatorpediniere britannico “Wolverine”. Sebbene fosse rimasto in mare per meno di due anni, Prien realizzò il record di affondamenti durante la Seconda Guerra Mondiale: in 238 giorni trascorsi in mare, affondò 30 navi nemiche per un tonnellaggio complessivo di 193.808 tonnellate.
Nel corso della Seconda Guerra Mondiale l’eco dell’impresa dell’U-47 non si esaurì, anzi cominciarono a circolare strane storie, a dire la verità spesso incontrollate, sulle vere o presunte dinamiche che avevano portato all’attacco di Scapa Flow. Secondo una di queste, il comandante Prien fu guidato all’interno della base da un fantomatico Alfred Wehring, agente segreto nazista che viveva nelle isole Orcadi sotto mentite spoglie, spacciandosi per un orologiaio elvetico di nome Albert Oertel. Costui, ad attacco concluso, compiuto il suo dovere, si sarebbe dileguato fuggendo a bordo di un sottomarino, che i testimoni non avevano dubbi fosse denominato B-06, per tornare in patria. Questa suggestiva interpretazione dei fatti fu svelata dal Saturday Evening Post nel maggio del 1942 per poi essere battuta da tutte le altre testate britanniche. Eppure, nonostante il grande clamore suscitato, nulla di quanto raccontato ha il minimo fondamento di verità. Una serie di ricerche effettuate nel dopoguerra negli archivi tedeschi e nelle Orcadi ha infatti dimostrato che i nomi dei due protagonisti non sono mai citati in alcun documento ufficiale allo stesso tempo un sottomarino con quella sigla non è mai esistito. Pertanto si tratterebbe di una leggenda metropolitana.
Ciò che invece non è leggenda, ma pura verità, è l’ipocrita atteggiamento del governo britannico assunto nei confronti della Germania nazista nel periodo tra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale. Dopo le devastazioni causate dalla Prima Guerra Mondiale, le potenze occidentali vincitrici imposero alle nazioni sconfitte una serie di trattati molto duri. Il Trattato di Versailles del maggio del 1919, imponeva dure condizioni alla Germania. La parte più umiliante per la Germania sconfitta fu probabilmente costituita dall’Articolo 231, conosciuto come “clausola di colpevolezza”, che obbligava la nazione tedesca ad assumersi la totale responsabilità dello scoppio della Prima Guerra Mondiale. Di conseguenza, la Germania diventava anche responsabile di tutti i danni materiali causati dal conflitto, per i quali George Clemenceau, il primo ministro francese, insistette in modo particolare che si stabilissero enormi somme di risarcimento. Nonostante fosse evidente che la Germania molto probabilmente non sarebbe stata in grado di pagare un debito tanto imponente, Clemenceau e i Francesi temevano ancora una rapida ripresa della nazione tedesca e un’altra guerra contro la Francia. Di conseguenza, i Francesi cercarono di creare con il Trattato di Versailles un sistema che limitasse la possibilità per la Germania di riguadagnare la supremazia economica e di riarmarsi. Tra le varie disposizioni della parte V del Trattato di Versailles vi era espresso il limite di dotazione della Marina Militare tedesca a navi di non più di 100.000 tonnellate, con l’ulteriore proibizione di acquisire o mantenere una flotta di sottomarini. Ma il 18 giugno 1935, la Gran Bretagna sconfessando totalmente le disposizioni del Trattato di Versailles, firmo con la Germania nazista un accordo navale. L’accordo navale anglo-tedesco autorizzò il riarmo navale tedesco. Con tale accordo, Gran Bretagna e Germania accettavano che le rispettive marine militari avessero lo stesso numero di sommergibili e che il tonnellaggio della marina tedesca (Kriegsmarine) non avrebbe superato il 35% di quella britannica (Royal Navy).
Ma perchè la Gran Bretagna stracciò le clausole del Trattato di Versailles e consentì così il riarmo della Germania di Hitler? Il motivo è tanto semplice quanto infame. Come sempre nella sua storia, anche dal 1919 al 1939 la politica estera della Gran Bretagna fu caratterizzata da un livello isterico di russofobia. Il timore immotivato che i politici britannici avevano dell’Unione Sovietica, portò i governi di Londra ad attuare una politica accomodante verso Hitler, soddisfacendo progressivamente tutte le sue folli volontà all’unico scopo di indirizzare l’aggressività nazista e il suo potenziale bellico contro l’Unione Sovietica. E così, che l’attacco tedesco a Scapa Flow rappresentò una conseguenza di questa ignobile politica britannica, ancora prima che un atto di vendetta e un azione strategica della Germania di Hitler.
Luca D’Agostini
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