Ogni guerra genera morte, devastazione, sofferenze. Quella che sarà raccontata in questo articolo è la storia di 872 giorni che racchiude l’essenza di morte, devastazione e sofferenza, ma è anche una storia unica di eroismo di una popolazione civile. E’ una storia che rappresenta pienamente lo spirito russo, l’orgoglio di una comunità di sentirsi parte di un qualcosa di più grande di loro, di sentirsi parte della Madre Russia.
872 giorni! Tanto è durato l’assedio di Leningrado da parte delle truppe naziste di Hitler. Quasi un milione di morti, per lo più donne, bambini ed anziani assediati dentro Leningrado, in uno degli eventi più tragici della Seconda Guerra Mondiale. L’assedio di Leningrado è la storia di una popolazione ridotta alla fame ed isolata dal resto del mondo, ma è anche quindi la storia dei momenti più straordinari dell’irreducibile spirito di resistenza della popolazione russa.
Il 30 agosto 1941 inizia la resistenza di Leningrado. Questo infatti fu il giorno in cui si ebbe l’ultimo collegamento ferroviario con la città e in cui i soldati tedeschi raggiunsero il fiume Neva.
Ancora prima dell’invasione della Russia da parte delle forze naziste, il 22 giugno del 1941, furono messi a punto con l’Operazione Barbarossa i piani che portarono verso Leningrado forze consistenti in più di un milione di uomini, 600 carri armati e 1000 aerei. L’armata nazista prese il controllo di Leningrado nell’arco di quattro settimane. Hitler sembrava ben deciso ad una rapida presa della città per utilizzare le stesse forze militari in vista di un attacco a Mosca. Al comando dell’operazione c’era il feldmaresciallo Von Leeb al quale Hitler aveva ordinato di provocare all’esercito russo perdite assai più devastanti di quelle causate all’esercito francese. Stalin invece intendeva resistere il più a lungo possibile perchè bloccare una parte consistente dei soldati tedeschi a Leningrado significava costringerli ad affrontare il nemico più temibile, l’inverno russo.
In tutta la sua lunga storia Leningrado non era mai stata attaccata ed ora i suoi abitanti si preparavano a difenderla con un patriottismo istintivo. La città venne fondata dallo Zar Pietro il Grande e con il nome di Pietroburgo prima e San Pietroburgo dopo è stata per 200 anni la Capitale della Russia. Dopo la rivoluzione d’ottobre del 1917 venne ribattezzata con il nome di Leningrado. Ma Leningrado non era solo la città degli Zar, dei palazzi imperiali, di Lenin e del comunismo, ma anche il cuore della poesia russa, della musica, del balletto e della letteratura. I suoi abitanti, che fossero comunisti o meno, vivevano l’amore per la propria città con lo stesso passionale orgoglio, un orgoglio così radicato da essere una religione. Così, prima dell’assedio, trecentomila cittadini di Leningrado si arruolarono nell’esercito formando intere divisioni militari. Alla periferia di Leningrado un milione di persone si affrettava per costruire ostacoli anticarro e fortificazioni. Dal diario di Irina Samilovich: “Oggi abbiamo scavato per sedici ore. Il freddo è pungente ed io ho solo vestiti leggeri. L’acqua ci arriva alle caviglie. I miei piedi stanno sanguinando. Ho paura di non riuscire più a ballare.” Dal diario di Alla Zevarina: “Abbiamo lavorato ininterrottamente dodici ore al giorno per diciotto giorni. Il terreno è duro e bisogna utilizzare un piccone. L’argilla è resistente come la roccia.”
Ma gli sforzi erano vani. L’esercito tedesco aveva la meglio sulle trincee e su chi le difendeva. Ad agosto del 1941 i carri armati tedeschi si trovavano a 30 km da Leningrado. Da nord intanto cominciavano ad attaccare anche i finlandesi. Ma la popolazione di Leningrado era ormai pronta ad affrontare i tedeschi strada per strada. Gli operai andavano a lavorare in fabbrica armati per non farsi cogliere impreparati quando arriverà il momento. I primi scontri tra la popolazione ed i soldati tedeschi avvennero nei quartieri meridionali di Leningrado. L’eroica resistenza della popolazione sorprese immediatamente i soldati nazisti i quali credevano erroneamente che la popolazione russa non aspettava altro che essere liberata dalla dittatura comunista.
A settembre del 1941 la città era ormai circondata. Il mare ad ovest era interdetto dalle navi e sottomarini tedeschi e finlandesi. La flotta russa era costretta a rimanere nel porto di Leningrado. L’unico spazio libero era ad est, ma era totalmente occupato dal grande Lago Ladoga, un lago ghiacciato circondato da paludi e foreste selvagge. Tre milioni di persone quindi erano intrappolate dentro la città di Leningrado senza poter usufruire di medicinali, cibo, combustibile e tutti gli altri rifornimenti necessari per il sostentamento.
I primi attacchi aerei sulla città cominciarono nella giornata del 6 settembre 1941 e proseguirono per tutto il giorno. Von Leeb cominciò l’attacco a Leningrado in condizioni di netta superiorità numerica di carri armati e aerei, convinto di poter occupare la città nel giro di uno due mesi (1). Ormai tutto il mondo si aspettava che Leningrado si arrendesse. A Berlino Hitler fece addirittura stampare gli inviti alla festa per la conquista di Leningrado da tenersi in uno dei più importanti alberghi di Leningrado stessa, dichiarando in modo spietato e scellerato: “Ho deciso che Leningrado sia cancellata dalle cartine geografiche. Il progetto è di stringere d’assedio la città e raderla al suolo con l’artiglieria e martellanti attacchi aerei. Non è affar nostro nutrire la popolazione di Leningrado.” Ma la indomita popolazione russa non si piegò ed il maresciallo russo Žukov chiese a Stalin l’invio di nuove riserve e riuscì a mettere insieme una notevole forza di 50.000 uomini. Egli ordinò: “Resistere o morire”. Le fabbriche in città lavoravano 24 ore su 24 per fornire alla popolazione le armi necessarie per difendersi. I cittadini di Leningrado sapevano cosa aspettarsi. La stessa ferocia con la quale i soldati nazisti avevano distrutto città e villaggi in tutto il territorio russo finora conquistato. I bombardamenti aerei su Leningrado erano continui, di giorno e di notte, con l’intento di sfiancare la popolazione. Ma questa strategia fallì miseramente. Per la prima volta nella storia i martellanti bombardamenti non produssero lo stesso panico che avevano prodotto in altre città e non indussero la popolazione alla rassegnazione ed alla sconfitta. Durante i raid aerei nazisti, l’impianto radiofonico della città di Leningrado diffondeva canti patriottici e canzoni tradizionali russe. Migliaia di altoparlanti, in ogni strada ed in ogni officina, risuonavano della musica patriottica russa suscitando ancora di più nella popolazione la fierezza di appartenenza al popolo russo. Soffermatevi bene su questo aspetto appena descritto e magari rileggete lentamente le ultime righe. Per chi non conoscesse lo spirito russo è veramente incomprensibile poter immaginare cosa ti spinga a fare l’amore incondizionato e smisurato per il tuo Paese. Nella società occidentale questo senso di appartenenza non è così sviluppato. Gli abitanti di Leningrado ogni giorno si dedicavano volontariamente ad azioni di soccorso e si sostenevano reciprocamente. La gente si riunì in massa e festeggiò intorno al primo aereo tedesco abbattuto e caduto in città. I tre milioni di abitanti di Leningrado divennero una sola famiglia e questo è certamente un altro dei fattori che da sempre l’occidente non riesce a capire. Incomprensibilmente per il mondo occidentale, nelle difficoltà il popolo russo si unisce e si fonde in una sola unità, letteralmente diventa una sola famiglia senza alcuna sorta di divisione, tradimento, invidia, gelosia.
L’inverno del 1941 arrivò presto e fu particolarmente rigido, risultando l’inverno più freddo degli ultimi 100 anni. Molte fabbriche che producevano armi erano state bombardate. In città mancava spesso l’elettricità perchè era stata bombardata anche la più grande centrale elettrica di Leningrado. Tutto ciò peggiorò in maniera significativa le condizioni degli abitanti di Leningrado, già svantaggiati dai blocchi delle vie di rifornimento. A novembre, la gente cominciò a morire di fame e molti disperatamente cominciarono a mangiare i propri animali domestici, cani e gatti. Hitler nel frattempo cambiò strategia e spostò alcune unità da combattimento che assediavano Leningrado per aiutare altre unità che si apprestavano ad attaccare Mosca. Le truppe restanti continuarono a circondare la città aspettandone la resa. Hitler del resto era convinto che fosse solo una questione di tempo e che la popolazione non avrebbe potuto resistere all’inverno in quelle condizioni. Hitler diceva: “Quando cominceranno a morire di fame non potranno più resistere a lungo!”
Andrej Aleksandrovich Zdanov, Segretario del Partito Comunista a Leningrado e coordinatore della resistenza di Leningrado durante l’assedio nazista, doveva assolutamente trovare una soluzione. L’unica via possibile per fare arrivare i rifornimenti era il Lago Ladoga che però dista 30 km dalla città ed a causa del freddo le sue acque erano ghiacciate. Il 18 novembre 1941 dalla città venne inviato un uomo a cavallo per provare ad attraversare il lago. Il tentativo riuscì. Leningrado aveva trovato un modo per rompere l’accerchiamento. Zdanov ordinò la costruzione di una strada poiché percorrere 30 km sul ghiaccio non sarebbe stato facile. Da Leningrado alla ferrovia situata sul lato opposto del lago la distanza era di circa 400 km. L’impresa appariva disperata ma andava tentata ad ogni costo. Un forza lavoro di migliaia di persone doveva costruire la strada entro 15 giorni. Gli operai non venivano pagati in denaro bensì con un po’ di cibo. Appena cinque giorni dopo i primi camion attraversarono il lago, carichi solo a metà per il rischio che il sottile strato di ghiaccio del lago dovesse cedere. I cittadini di Leningrado chiamarono questa strada: ”La Strada della Vita”.
Zinaida Scevkunenko aveva sette anni allo scoppio della guerra. Trascorse nella città assediata un anno e mezzo. Era un’alunna della prima elementare e la sua è una chiara testimonianza di ciò che stava accadendo. “Avevamo molta paura, avevamo fame e soffrivamo dal freddo. Dopo i bombardamenti dell’agosto del 1941, lo Stato ridusse subito il rancio distribuito in base alle tessere. Ai bambini davano 125 grammi di pane, agli operai davano 250 grammi per tessera.” Le razioni erano tre volto sotto la soglia di sopravvivenza. Zinaida Scevkunenko continua il racconto: “Di solito i bombardamenti avvenivano di notte e non si riusciva a dormire. Inizialmente eravamo vivi io, mia sorella, un mio fratello piccolo e mia mamma. Mio fratello maggiore era sul fronte a combattere. Uno dopo l’altro sono morti mio fratello piccolo e mia sorella, e per lungo tempo io e mamma vivevamo in due. Poi si era ammalata anche mia mamma. Quando sono rimasta sola mi hanno portato in un orfanotrofio e tramite “La Strada della Vita” mi hanno portato via dalla città.”
La situazione nella città di Leningrado era tragica. Il cibo non bastava più. Si cominciò a mischiare la farina con la colla da parati per ottenere del cibo che durasse più lungo. Le minestre erano fatte con le interiora di pecora, il grasso industriale e con la corteccia degli alberi. La corrente elettrica era disponibile solo per due ore al giorno ma serviva esclusivamente per alimentare le fabbriche. La temperatura era di 30° sotto zero. Alle porte di Leningrado anche i soldati tedeschi pativano il freddo. Credevano di conquistare Leningrado entro l’autunno e non riuscendovi non erano in grado di far fronte all’inverno russo. Per accelerare la caduta della città i tedeschi trasferirono l’artiglieria sulle colline e da li bombardavano il centro abitato di Leningrado. Oltre che dalle bombe degli aerei, dalle granate dell’artiglieria, dalla mancanza di cibo, la popolazione era tormentata anche dal freddo gelido. Come detto all’aperto la temperatura era di 30° sotto zero ma dentro casa, in fabbrica, in ufficio comunque la temperatura era di 15° sotto zero. Per riscaldarsi si bruciavano i mobili, le porte, i libri. Ma ben presto anche queste risorse terminarono. A novembre del 1941 a Leningrado già 11.000 persone erano morte di fame o assiderate. Alcune persone impazzirono e si diedero al cannibalismo mangiando i propri parenti deceduti.
A dicembre del 1941 l’Armata Rossa situata fuori la città riescì a costruire una deviazione della ferrovia esistente conducendola fino al Lago Ladoga riducendo da 400 a 200 km la Strada della Vita. I camion all’ingresso in città portavano i rifornimenti ed all’uscita evacuavano le persone nelle situazioni più critiche. Ma la stragrande maggioranza non voleva abbandonare la città poiché andare via per loro sarebbe equivalso a disertare, nonostante nel solo mese di dicembre 50.000 persone morirono di fame di freddo. Altre 50.000 persone morirono stremate nel mese di gennaio del 1942.
Sul fronte la situazione era in stallo totale. I soldati dell’Armata Rossa posizionati a difesa della città attendevano rinforzi per contrattaccare, i tedeschi aspettavano una resa che credevano imminente essendo la città stretta nella morsa del freddo e della fame. A decidere l’esito di questa battaglia furono solo gli abitanti della città e non gli eserciti. L’unica cosa che ancora funzionava in città erano gli impianti di amplificazione situati ad ogni angolo di strada. Gli abitanti di Leningrado si fermavano ad ascoltare le canzoni patriottiche e la musica tradizionale russa e da ciò traeva ogni giorno l’energia per sopravvivere, la forza per combattere, ogni giorno che passava nonostante le enormi difficoltà aumentava la forza derivante dall’orgoglio dovuto al senso di appartenenza al popolo russo. Il contesto nel quale la popolazione vedeva quotidianamente crescere questo forza è incomprensibile per un occidentale. A febbraio del 1942 infatti, per la fame ed il freddo in città morivano 10.000 persone al giorno, molte strade e ponti della città erano distrutti, i palazzi erano per lo più bombardati, la temperatura aveva raggiunto i 40° sotto zero, il cibo nonostante alcuni rifornimenti provenienti dalla “Strada della Vita” continuava comunque a scarseggiare, ovunque in strada si camminava a piedi tra numerosi morti che giacevano li anche per alcuni giorni. Ogni saluto con amici o parenti equivaleva ad un possibile addio. Nonostante questo non si verificavano mai atti di sciacallaggio verso i cadaveri, non vi erano reati, furti, scontri o litigi tra la popolazione. L’orgoglio di essere russi e l’amore per la propria terra erano più forti della morte.
La primavera del 1942 portò nuova speranza, la temperatura cominciò a farsi più mite ma al contempo lo scioglimento dello strato ghiacciato sopra il Lago Ladoga rese la Strada della Vita non più percorribile. La primavera portò anche l’inizio delle epidemie e le prime migliaia di morti a causa delle infezioni, delle malattie e delle condizioni antigieniche spaventose. I tedeschi continuavano invano ad attendere una resa della città. Invece l’Armata Rossa riuscì a mettere in funzione nuove centrali elettriche cosicché la corrente elettrica cominciava ad essere fornita con continuità. La popolazione, con l’avvento della primavera cominciò a riparare le proprie case e le strade. La Strada della Vita venne trasformata in una via fluviale ed i rifornimenti consentirono maggiore disponibilità di cibo. Attraverso questa via fluviale giunsero in città nuove truppe dell’Armata Rossa, ma la situazione bellica continuava comunque ad essere in una posizione di stallo.
Vennero organizzate partite di calcio tra squadre create con gli abitanti della città e queste partite vennero trasmesse in televisione in modo tale da consentire anche ai tedeschi di poterle vedere e farli così rendere conto del fallimento del loro tentativo di prendere Leningrado.
Era passato quasi un anno e Leningrado, nonostante tutto, viveva. L’armata tedesca si preparava ad affrontare il suo secondo inverno nei boschi intorno alla città e non sarebbe stato neanche l’ultimo.
Anche la popolazione di Leningrado cominciò ad organizzarsi in funzione del nuovo inverno. Nella periferia della città c’erano parecchie case in legno disabitate. Quelle case furono smembrate ed il legno spartito in parti uguali tra gli abitanti di Leningrado. Vennero tagliati molti alberi nei boschi situati nella periferia di Leningrado ma non venne tagliato mai neanche un solo albero dei parchi e dei giardini della città. In tutti gli spazi verdi della città vennero creati degli orti ed ai cittadini vennero forniti i semi per la coltivazione. Ogni cittadino di Leningrado subì una formazione militare specifica e ad ognuno venne attribuito un ruolo nella difesa della città.
Iniziava un nuovo inverno ma oramai Leningrado era una vera e propria fortezza ed il morale della popolazione aumentò ancora quando da Stalingrado giunse la notizia che i tedeschi erano stati sconfitti. Il 18 gennaio 1943 le truppe dell’Armata Rossa situate fuori Leningrado e quelle situate all’interno sferrarono un attacco simultaneo e riuscirono a ricongiungersi creando un varco di 10 km tra le truppe naziste assedianti. In questo corridoio venne subito creata una linea ferroviaria per collegare Leningrado a Stalingrado ed a Mosca. Una folla di abitanti di Leningrado scese in piazza per festeggiare, credendo ormai la vittoria vicina, ma era solo un’illusione. A primavera del 1943, l’artiglieria tedesca sferrò un bombardamento sulla città con cannoni di grosso calibro e con una tale intensità che non aveva precedenti. Un quinto della città venne rasa al suolo.
Giunse l’estate del 1943 e la musica patriottica e tradizionale trasmessa dagli altoparlanti della città continuava ad alimentare l’orgoglio della popolazione di Leningrado che ormai era sfinita. Ma l’amore per la Madre Russia era più forte di qualsiasi sofferenza e di qualsiasi tragedia. Lo spirito e la voglia di combattimento di ogni persona a Leningrado, uomini, donne, bambini ed anziani, era sempre maggiore e scaturiva da una voglia di vendetta per la morte dei propri parenti più cari. Genitori che avevano perso i figli e figli che avevano perso i genitori, giuravano vendetta per i loro cari ed affermavano di voler combattere fino all’ultimo, anche rischiando la morte pur di vendicare i loro figli ed i loro genitori.
A dicembre del 1943 il bilancio dei soli bombardamenti era di 16.000 morti e 33.000 feriti. Anche se in città ormai era sopravvissuta solo la metà degli operai ed erano funzionanti solo un terzo delle fabbriche, la produzione di armi continuava ed aumentò di quantità.
Il 14 gennaio del 1944, i 200.000 soldati dell’Armata Rossa di stanza a Leningrado ricevono da Mosca l’ordine di attaccare. Dopo due settimane di feroci combattimenti l’assedio a Leningrado venne spezzato. I soldati tedeschi cominciarono a ritirarsi. I prigionieri tedeschi vennero fatti sfilare per la città e pur salvaguardando le loro vite, l’Armata Rossa li espose volontariamente alla rabbia della popolazione. Scortati dai soldati dell’Armata Rossa, i soldati tedeschi venivano insultati dalla popolazione inferocita, erano oggetto di sputi e percosse. (1)
Il 27 gennaio 1944, dopo 872 giorni di assedio, Leningrado festeggiò la libertà. (1)
Dopo la fine della guerra, Leningrado venne definita: “La Città Eroica”. L’assedio ed i bombardamenti di Leningrado produssero un milione di morti tra gli abitanti della città. Un numero dieci volte superiore alle vittime della bomba atomica sganciata su Hiroshima. Nel corso della storia, mai nessuna città subì un tale numero di perdite.
Decisamente emozionanti questi versi della poetessa russa Olga Fëdorovna Berggol’c dedicati alla sua città, Leningrado:
“Dalla nera polvere, dal posto
Della morte e delle ceneri, risorgerà il giardino come prima.
Così sarà. Credo fermamente nei miracoli.
Sei tu che mi hai dato questa fede, mia Leningrado.”
A gennaio del 2015, in occasione del 70° anniversario della rimozione dell’assedio a San Pietroburgo, il governatore della città Gheorghij Poltavcenko, ha consegnato i nuovi appartamenti assegnati alle persone decorate con il distintivo “Abitante di Leningrado assediata”. (1)
Luca D’Agostini
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