I successi della Čeka, la polizia segreta sovietica, l’organismo di sicurezza dello stato sovietico che nel primo decennio della sua esistenza si rivelò essere il servizio di intelligence più efficace al mondo, sono universalmente riconosciuti.
Le operazioni più produttive della Čeka all’estero e all’interno del Paese, sono associate al nome di Artur Christianovič Artuzov, la cui vita fu assurdamente interrotta nel 1937.
Il suo vero cognome era Frauchi. Il padre di Artur, Christian Frauchi, lasciò la Svizzera e nel 1881 si stabilì in Russia, nella provincia di Tver’, nella tenuta del proprietario terriero Popov.
In seguito dovette trasferirsi in altre tenute nobili. Ciò era dovuto al fatto che Christian Frauchi era un esperto delle antiche tecniche di produzione del formaggio. Nel periodo pre-rivoluzionario, non c’era miglior casaro di lui in tutta la terra di Tver’.
A proposito, nel villaggio di montagna svizzero di Gstaad (un’ora di macchina da Berna) ci sono tuttora diverse famiglie di cognome Frauchi, e sono tutte titolari di caseifici di quarta o quinta generazione.
Il 17 febbraio 1891, dal matrimonio di Christian Frauchi con l’affascinante Augusta Didrikil (nelle vene di questa ragazza si mischiava sangue lettone, estone e persino scozzese), nacque il primogenito, a cui fu dato il nome di Artur. Fu seguito da altre tre figlie e due figli.
Dopo essersi diplomato al ginnasio di Novgorod con una medaglia d’oro, avendo già perfettamente padroneggiato in casa le lingue francese e tedesca (e successivamente inglese), Artur, inaspettatamente per suo padre, entrò all’Istituto Politecnico di San Pietroburgo, dove iniziò a prepararsi per la carriera di ingegnere metallurgico. Aveva anche un altro sogno nel cassetto: diplomarsi al conservatorio come cantante lirico.
Ma il figlio dell’immigrato svizzero non divenne né un tenore, né un ingegnere. Da studente, Artur partecipò a circoli bolscevichi illegali. E quando scoppiò la Rivoluzione di Febbraio e poi di Ottobre, il giovane studente fece irrevocabilmente una scelta di vita: nel dicembre 1917 aderì al Partito bolscevico.
Poco dopo Artur Artuzov fu arruolato nella Čeka, la temibile polizia segreta sovietica. La prima missione che gli fu affidata fu quella di infiltrarsi nel cosiddetto “Centro nazionale”, le cui cellule ramificate a Mosca e Pietrogrado univano l’intellighenzia di mentalità monarchica e gli ufficiali militari.
Durante un’ispezione, una ragazza di 15 anni fu arrestata al mercato mentre cercava di sbarazzarsi di una pistola nascosta nel suo cappotto. Georgette (questo era il nome della ragazza), risultò essere la figlia di un ex cittadino francese Kürz, il quale in precedenza era stato utilizzato dalla Čeka come agente segreto. Durante una ricerca nell’appartamento di questo “professore di francese”, fu rinvenuto un nascondiglio in cui era conservato un archivio con dati di persone e rapporti di spionaggio.
Artuzov interrogò quest’uomo. Non esercitò alcuna pressione sull’arrestato, gli parlò con gentilezza e calma, ma in modo molto convincente, tanto che Kürz confessò che stava attivamente preparando una rivolta e, senza la minima coercizione, espose tutto ciò che sapeva sui piani dei ribelli. Sua figlia, a sua volta, raccontò ad Artuzov di una certa “signorina” i cui appunti, trovati durante la perquisizione, contenevano informazioni allarmanti sui piani degli oppositori del potere sovietico.
Il successo dell’operazione di liquidazione del “Centro Nazionale”, contribuì alla rapida crescita della carriera di Artuzov. Nel 1922, fu creato il Dipartimento di Controspionaggio e a capo di questa importante unità fu posto il trentenne Artuzov.
Agli agenti del controspionaggio furono assegnati compiti molto difficili. Tra questi vi erano quelli di contrastare i piani dei servizi di intelligence stranieri, compresi quelli di neutralizzare le loro azioni terroristiche in Unione Sovietica.
Meno di due anni dopo, nel suo rapporto alla direzione del Direttorato Politico dello Stato (OGPU) (il documento è datato novembre 1924), Artuzov scrisse: “Un certo numero di servizi di intelligence stranieri, come quelli polacchi, estoni e finlandesi sono interamente nelle nostre mani e agiscono secondo le nostre istruzioni. Inoltre, abbiamo un adeguato controllo dell’intelligence italiana.“
Le dichiarazioni del capo del Dipartimento di Controspionaggio non erano vuote spavalderie, si basavano su dati e documenti rigorosamente verificati. Dopotutto, gli specialisti del Dipartimento di Controspionaggio erano riusciti a decifrare cifre e codici, grazie ai quali alla Lubjanka venivano letti la maggior parte dei messaggi telegrafici inviati nei loro paesi dalle ambasciate straniere a Mosca.
L’abilità nel decodificare i messaggi in codice, mostrata da Artuzov e dai suoi uomini, così come la capacità di individuare rapidamente le organizzazioni segrete anti-sovietiche, sulle quali facevano affidamento i governi occidentali, è ancora studiata nelle scuole di intelligence di tutto il mondo, come un esempio di abilità operativa. Operazioni di questo tipo, svolte dal controspionaggio sovietico negli anni Venti, erano contraddistinte, secondo autorevoli analisti, da audacia, ampiezza, calcolo politico accurato.
Nel 1927, Artuzov lasciò l’incarico di capo del controspionaggio del Paese, assumendo la carica molto più modesta di assistente del capo della Direzione delle operazioni segrete del Dipartimento di Controspionaggio.
In seguito, dall’agosto 1931 al 1935, assunse la carica di capo del Dipartimento degli Esteri del Dipartimento di Controspionaggio, essendo riuscito a stabilire attività efficaci per raccogliere informazioni politico-militari e tecnico-militari nelle principali potenze del mondo occidentale, grazie anche all’ausilio di strutture parallele da lui stesso create all’estero.
Nella vita della sicurezza dello stato sovietico a cavallo degli anni ’30, giunse un periodo completamente diverso. Stalin e gli altri leader sovietici, perseguirono una rotta verso l’inasprimento della politica punitiva e usarono sempre più il Dipartimento di Controspionaggio come strumento per assicurare il processo di una violenta trasformazione della società. Dall’apparato dei servizi speciali venivano espulse (o trasferite a incarichi insignificanti) persone che, per le loro qualità morali, non si adattavano alle nuove realtà. Al loro posto arrivarono carrieristi senza scrupoli, pronti a inventare qualsiasi “piccola impresa” gradita alle autorità per la prospettiva di una promozione.
Il primo evento di tale portata nello smascherare i “nemici del popolo” fu il processo inventato nei confronti del cosiddetto “Partito industriale”, presumibilmente guidato dall’ingegnere Ramzin. Avendo colto la falsità e la deliberata falsificazione dei fatti da parte dell’accusa, Artuzov ne informò la dirigenza e fu immediatamente redarguito da Genrich Grigor’evič Jagoda, il quale a quel tempo ricopriva la carica di primo vicepresidente del Dipartimento del Controspionaggio.
E dall’estate del 1931, fu sviluppata in Unione Sovietica l’operazione “Primavera”, anch’essa attuata da Jagoda. Migliaia di coloro che prestarono servizio nell’Armata Rossa caddero sotto i colpi di rappresaglie immeritate, attuate non per paura, ma per la coscienza dei soldati di carriera. Diversi leader della Lubjanka, tra i quali Jan Olskij, Stanislav Messing, Efim Evdokimov, si espressero contro questa folle idea. Purtroppo, tutti condivisero il tragico destino delle persone in difesa delle quali si erano esposte.
Di questa folle repressione fu anche vittima Artur Artuzov, accusato di essere una spia tedesca. Fu così arrestato nel maggio 1937, nel suo ufficio al primo piano della casa n. 2 in Via Lubjanka.
Prima di allora, Artuzov insegnò per qualche tempo i suoi metodi di lavoro agli ufficiali dell’intelligence militare, essendo stato nominato vice capo della 4° Direzione (Intelligence) dello Stato maggiore dell’Armata Rossa. Poi rimosso dalle autorità sovietiche, svolse la modesta posizione di ricercatore presso l’8° Dipartimento (contabilità e archiviazione) dell’Amministrazione dello Stato Maggiore.
Lo studio su larga scala che aveva iniziato sulla storia del controspionaggio, rimase incompiuto e irrevocabilmente perduto. Le ultime righe, scritte da Artuzov in una cella di prigione, furono quelle scritte con il suo stesso sangue che scorreva dal naso rotto durante l’interrogatorio. In queste righe è scritto: “Signor Giudice! Ho le prove che non sono una spia tedesca….” Ma nel mentre scriveva queste parole, evidentemente qualcuno giunse nella sua cella. Infatti, in seguito la nota di Artuzov, si interrompe con queste parole: “Sono venuti per Artuzov …“.
Fu fucilato il 21 agosto 1937, lo stesso giorno in cui fu firmata la condanna a morte.
La riabilitazione postuma di Artuzov ebbe luogo nel 1956. In seguito furono riabilitati tutti i suoi compagni d’armi partecipanti alle leggendarie operazioni, ma che purtroppo furono torturati e fucilati.
Luca D’Agostini
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