La geopolitica trova nelle alture del Golan un laboratorio ideale di applicazione. Le alture del Golan sono giuridicamente di proprietà siriana ma di fatto sono occupate da Israele. Costituiscono il punto di passaggio di un terzo delle risorse idriche di Israele e restano un territorio strategicamente importante.
Dal 1967 contese tra Siria ed Israele, le alture del Golan occupano un’area prevalentemente montuosa che si estende per circa 1.800 chilometri. La notevole importanza strategica del territorio è determinata dalle sue caratteristiche geologiche e soprattutto dalla sua posizione: il fertile terreno d’origine vulcanica, ricco di falde acquifere e di corsi d’acqua, fino al 1975 fu passaggio obbligato della Trans-Arabian-Pipeline; i suoi rilievi dominano a ovest su Tiberiade e parte della Galilea, mentre a est controllano la pianura che scende fino a Damasco, distante appena 60 chilometri. A nord spicca la vetta del monte Hermon (in arabo al-Šayḫ) che, dall’alto dei suoi 2.814 metri, costituisce un punto d’osservazione privilegiato per controllare i movimenti del nemico. Inoltre, nel 2015, sono poi stati scoperti giacimenti petroliferi con il potenziale di produrre miliardi di barili. Secondo la compagnia israeliana “Afek Oil and Gas”, una sussidiaria della statunitense “Genie”, che sta trivellando in svariati pozzi, lo strato del giacimento sarebbe dieci volte più spesso della media mondiale, e potrebbe rendere Israele energeticamente autosufficiente. Ricordiamo che ad oggi Israele consuma 270 mila barili di petrolio al giorno.
Controllare i valichi del Golan significava nell’antichità controllare le rotte commerciali e militari che da Damasco scendevano ai porti della Palestina evitando la più tortuosa via attraverso la catena dell’Antilibano e del Libano. Per questo, dall’epoca delle prime grandi civiltà del Vicino Oriente fino all’avvento dell’Islam, alle Crociate e alle epoche più recenti, il Golan è stato teatro di continui scontri e razzie. Gli eventi bellici del giugno del 1967 e dell’ottobre del 1973 non furono altro che nuovi capitoli di una storia antica.
Con la Guerra dei Sei giorni l’intero territorio fu occupato dall’esercito israeliano, con il conseguente esodo di decine di migliaia di civili siriani. La risposta di Damasco arrivò solo nel 1973, con il massiccio attacco sferrato il 6 ottobre: la Siria, in accordo con l’Egitto di Sadat, che dal Sinai mosse contro Israele, colse allora di sorpresa i militari di Tel Aviv in festa per lo Yom Kippur. A sud gli egiziani, dopo aver conquistato le prime posizioni, preferirono arrestarsi; l’allora segretario di Stato americano Henry Kissinger intessé un’abile trattativa diplomatica che fece guadagnare tempo prezioso a Israele, le cui truppe furono in grado di riorganizzarsi e di lanciare la controffensiva sul fronte Nord. Gli israeliani, oltre a respingere l’offensiva siriana, giunsero ancora una volta (come nel 1967) a un passo da Damasco. Il 25 ottobre, dopo tre settimane di combattimenti, fu firmato l’armistizio finale e, dopo una lunga guerra d’usura che si protrasse fino al maggio 1974, Israele e Siria stipularono un delicato accordo in base al quale quest’ultima avrebbe recuperato un quarto del territorio conquistato da Tel Aviv più alcune zone, di scarsa estensione geografica ma simbolicamente importanti, come la città di al-Qunayṭra.1 2 3 4
Un tempo abitata da più di 50 mila siriani, questa città è oggi ai margini della zona smilitarizzata creata nel 1974 e controllata dai reparti ONU dell’UNDOF (Forza di disimpegno degli osservatori delle Nazioni Unite). Con le sue case, le sue moschee, le sue chiese e il suo ospedale distrutti e crivellati dai colpi, al-Qunayṭra per Damasco è il simbolo della “distruzione sionista“, un monumento nazionale per non dimenticare i “146 villaggi del Golan cancellati dal nemico israeliano“, come riportato dalla dichiarazione presente sull’opuscolo informativo diffuso dalle autorità siriane ai giornalisti in visita alle rovine di al-Qunayṭra. Da parte sua Tel Aviv ha sempre risposto che le uniche distruzioni sono quelle effettuate dalle truppe siriane nel corso della loro rovinosa ritirata.
Negli ultimi decenni sui verdi pendii delle alture sono stati costruiti dagli israeliani più di 150 insediamenti agricoli sui quali dall’aprile 1974 vigilano attenti i radar del monte Hermon. Il 14 dicembre del 1981, infine, il parlamento israeliano approvò la legge che, sostituendo l’autorità militare in vigore nell’area dal 1967, sancì l’annessione allo Stato d’Israele delle alture del Golan, cui fu esteso il diritto, la giurisdizione e l’amministrazione civile dello Stato. Questa votazione del parlamento israeliano costituisce una decisione del tutto unilaterale e non è stata riconosciuta da nessun paese al mondo, se non dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump il 25 marzo del 2019. Il capo della Casa Bianca ha deciso di riconoscere le alture del Golan come territorio di Israele e come parte integrante dello Stato israeliano. La mossa di Trump muove dallo stesso principio che, nel 2018, portò il presidente statunitense a riconoscere Gerusalemme come città interamente israeliana e capitale del paese. Secondo l’ONU però, le alture del Golan sono giuridicamente da considerare come parte integrante del territorio siriano e la presenza illegale di Israele, oramai più che cinquantennale, è da considerare soltanto come un’occupazione militare di un territorio siriano. Anche recentemente, con una risoluzione approvata il 3 dicembre 2019 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con 91 voti a favore, 65 astensioni e 9 contrari, si invita il regime di Tel Aviv a porre fine all’occupazione del Golan Siriano e al ritorno al confine che esisteva prima del 4 giugno 1967, data dell’occupazione militare di questa zona. Nella risoluzione dell’ONU si legge: “La continua occupazione del Golan siriano e la sua annessione di fatto costituiscono un ostacolo al raggiungimento di una pace giusta, globale e duratura nella regione. La costruzione di insediamenti israeliani e altre attività nel Golan siriano è da considerarsi illegale“.
Violente manifestazioni di protesta si levarono da parte dei siriani, in larga parte Drusi, gruppo etno-religioso di origine musulmana sciita, che ancora oggi si rifiutano di riconoscere l’autorità di Tel Aviv e che ogni anno, il 14 dicembre, scendono in piazza per riaffermare la loro appartenenza alla Siria.5 6

Drusi del Golan
Damasco considera il ritiro totale di Israele dal Golan fino alle sponde del Lago di Tiberiade come condizione necessaria per qualsiasi normalizzazione con lo Stato ebraico. Hafez al-Assad, il padre del presidente Bashar al-Assad ripeteva spesso: “Non ci sarà pace fino a quando le nostre reti non torneranno a pescare nelle acque di Tiberiade“.
Ancora oggi l’intera regione continua ad avere un elevato valore strategico. Sebbene lo sviluppo tecnologico degli armamenti e del controllo satellitare abbia di fatto privato il Golan della sua tradizionale e secolare funzione di “torre di guardia” su Damasco e la Galilea, le alture rimangono il punto di passaggio e di confluenza di un terzo delle risorse idriche di Israele e la questione dell’acqua rimane il vero ostacolo alla ripresa delle trattative tra i due paesi.7
Nel 732 a.C. Damasco fu conquistata dagli assiri e il Golan fu prima annesso all’Impero Assiro e quindi a quello Caldeo. Durante il periodo greco-ellenistico (323-30 a.C.) fu creato in Siria il Regno dei Seleucidi con Antiochia capitale e il Golan divenne territorio conteso tra il regno siriano e quello egiziano di Tolomeo. Nel I secolo a.C. furono i Nabatei arabi a governare il Golan e il resto del Sud della Siria fino al Sinai.
Nel I secolo d.C. la Siria fu governata dai Romani, che arrivarono a controllare anche il Golan, ma a quel tempo i Siriani avevano già raggiunto alti livelli di cultura e civilizzazione.
I Greci chiamavano l’area Gaulanitide, termine adottato anche dai Romani, e Gamla divenne il principale centro urbano dell’area, e l’ultimo baluardo di resistenza ebraica contro i Romani, durante la Grande Rivolta, capitolando, infine, nel 67 d.C., così come riportato da Giuseppe Flavio nella sua Guerra giudaica.8
Nonostante il fallimento della rivolta, le comunità ebraiche delle alture sopravvissero e, anzi, prosperarono; durante gli scavi archeologici sono stati rinvenuti i resti di oltre 25 sinagoghe del periodo compreso tra la rivolta giudaica e la conquista islamica del 636. Nel IV secolo d.C. i Gassanidi arabi fondarono un regno arabo che includeva il Golan e altre regioni; in quel tempo le condizioni degli abitanti del Golan migliorarono nettamente. L’insediamento ebraico nel Golan ebbe termine con quella data.
La battaglia decisiva con la quale gli arabi, sotto il califfo Umar, sconfissero i bizantini stabilendo il controllo islamico su tutta l’area che oggi comprende Israele, Giordania, Libano e Siria, si svolse nella valle del torrente Yarmuk, sul versante meridionale delle alture, nell’agosto del 636. Nel 636 d.C. con la battaglia dello Yarmuk gli arabi vinsero e misero fine al dominio bizantino; al-Qunayṭra rimase un emblema arabo fino al 1967 quando ci fu l’aggressione sionista che occupò parte del suo territorio costringendo la popolazione a lasciare la propria casa e la propria terra.
Tra il XV e il XVI secolo i Drusi iniziarono a stabilirsi nel Golan settentrionale e alle falde del monte Hermon. Durante il breve periodo della dominazione egiziana (1831-1840) e negli anni successivi, anche sudanesi, algerini, turkmeni e arabi si stabilirono nelle alture. Infine, i turchi, all’incirca dal 1880 in poi, portarono i Circassi per contrastare il brigantaggio dei beduini.
La presenza ebraica sul Golan riprese nel 1886, quando la società Bne Yehuda, di Tsfat, acquistò un lotto di terra a 4 km dall’odierno mosav religioso di Qeset, ma la comunità, che era stata chiamata Ramataniya, fallì l’anno seguente. Nel 1887 la stessa società acquistò delle terre tra l’odierna Bne Yehuda e il qibbuts di ‘EnGev. Questa comunità sopravvisse sino al 1920, quando due suoi membri furono assassinati nei disordini anti-ebraici scoppiati nella primavera di quell’anno. Nel 1891, il barone de Rothschild acquistò circa 18 mila acri di terra, a circa 15 km a est di Ramat ha-Magšimīm, oggi in territorio siriano.
Il trattato di Sykes-Picot del 1915 ebbe una sua incidenza anche sulle alture del Golan. La demarcazione tra zona posta sotto protettorato inglese e zona invece sotto influenza francese passò pure da questi territori collinari. La parte settentrionale fu compresa nei territori sotto mandato di Parigi, quella meridionale invece andava ai britannici. Quando poi nella parte francese fu creato il nuovo Stato siriano, il Golan risultò compreso all’interno della provincia di al-Qunayṭra.9
Nel 1948 poco più a sud fu creato lo Stato d’Israele, i cui confini furono posti poco al di sotto delle alture del Golan. Ma lo scenario cambiò nel 1967: Israele effettuò un attacco preventivo contro una coalizione di Stati arabi comprendente anche la Siria. Si trattò di quello che la storia ricordò poi con il nome di “Guerra dei Sei Giorni”. Al termine del conflitto, le truppe israeliane penetrano in profondità nella provincia di al-Qunayṭra, annettendo de facto le alture del Golan.9
Nonostante la gran parte della popolazione di questo territorio sia araba e si consideri orgogliosamente siriana, Israele decise di mantenere illegalmente il controllo delle alture del Golan per creare una fascia di sicurezza con la Siria. Ma Damasco logicamente non riconobbe mai questa situazione, rivendicando la sovranità sulla sua terra. Quando nel 1973 ebbe luogo la guerra cosiddetta dello “Yom Kippur”, le truppe siriane puntarono subito alla riconquista delle alture del Golan. Ma i risultati per Damasco furono disastrosi, con le truppe israeliane che respinsero l’attacco ed anzi minacciarono di avanzare verso la stessa capitale siriana.9
Secondo le stime della Siria, circa 50 mila drusi fuggirono dai bombardamenti israeliani e se ne andarono dalla loro terra a fianco dell’esercito siriano in ritirata.10 Oltre all’etnia dei Drusi, altri 80 mila civili siriani sono stati cacciati dalla loro terra in maniera indiscriminata. Innumerevoli famiglie sono state separate e altrettanti individui hanno dovuto scegliere tra abbandonare per sempre la propria casa o non rivedere più i propri parenti, in quanto il biglietto di sola andata era condizione vincolante per accedere al programma di ricongiungimento familiare, peraltro sospeso dal 2007. Per anni i deportati siriani si sono riversati a scadenze mensili nella “valle delle lacrime”, la zona demilitarizzata che separa Siria e Israele, per comunicare con i propri cari attraverso megafoni e altoparlanti, ma con l’inizio dei combattimenti in Siria anche quest’opzione è venuta meno.
Secondo il governo siriano, l’esercito israeliano usò gli stessi metodi usati contro i palestinesi nel 1948 per impedire il ritorno dei rifugiati nelle loro case, radendo al suolo interi villaggi, cacciando i residenti e sparando a coloro che ritenevano “infiltrati”. Israele stava effettivamente pulendo etnicamente il Golan.10
Rimasero solo un gruppo di circa 6 mila Drusi siriani, che vivono tuttora per lo più in quattro villaggi nel Golan settentrionale, molti dei quali hanno parenti in Siria ai quali però non è permesso tornare nei loro villaggi. Le autorità israeliane presumevano che, dopo la guerra del 1967, i Drusi del Golan sarebbero diventati fedeli cittadini israeliani, facendo eco alla decisione presa dalla leadership drusa in Israele nel 1948. Ma così non è avvenuto e in pratica, i Drusi del Golan resistono all’occupazione israeliana da oltre cinquant’anni. Oggi vi sono 22 mila Drusi nel Golan, ma solo 1.700 hanno accettato la cittadinanza israeliana, tutti gli altri continuano a protestare (nell’indifferenza dell’opinione pubblica occidentale) contro l’occupazione della loro terra, con molti detenuti in carcere per le loro attività politiche di difesa dei diritti civili.9 Ma si sa, l’Occidente tutela i diritti umani secondo logiche di convenienza geopolitica.
Senza patria, ma anche senza terra. L’ampliamento dei centri abitati arabi è severamente ristretto dal piano regolatore israeliano e l’aumento demografico ha trasformato i villaggi drusi rimanenti in veri e propri formicai di cemento, case su case, ammassate l’una sull’altra, un labirinto interrotto solamente da piccoli appezzamenti non edificabili a causa delle mine antiuomo. Ce ne sono molti di campi minati da Israele nel Golan e le mine mietono continuamente vittime innocenti. Una tragedia destinata a continuare perché il termine “mina vagante” nel Golan non è solo un’espressione linguistica. Con le precipitazioni il terreno si muove, sposta le mine oltre le recinzioni, per le strade, nei campi ma anche nei giardini delle case, come quella del piccolo Amir Abu-Jabel, morto polverizzato all’età di 4 anni. Anche Saleh Barar è rimasto vittima di una mina mentre pascolava le pecore, lui è sopravvissuto ma ha perso per intero la parte destra del suo corpo: gamba, avambraccio e occhio. Non ha ricevuto nessun indennizzo dalle autorità israeliane poiché la causa dell’incidente è stata attribuita alla pericolosità del suo comportamento, cioè svolgere l’attività di pastore.11
Nel frattempo, il regime israeliano ha lavorato insistentemente nella costruzione di insediamenti. Tanto che oggi la popolazione ebraica del Golan è composta da circa 22 mila coloni che vivono in 32 insediamenti.10 Ciascuno di questi insediamenti è stato costruito sulla terra di ex città e villaggi siriani, di cui ci sono ancora rovine visibili.
Attualmente, le alture del Golan assumono poi un ruolo importante nell’ottica del sostegno ai terroristi presenti in Siria e finanziati dall’Occidente, e in modo ipocrita definiti “ribelli moderati”. Attraverso la frontiera con Israele, ricevono sostegno logistico diversi gruppi di terroristi finanziati dall’Occidente per combattere contro il legittimo governo del presidente Bashar al-Assad. Lo stesso premier israeliano Netanyahu più volte si fa spesso immortalare in alcuni ospedali delle alture del Golan, dove incontra i terroristi ricoverati nella zona.
Dal 2014 in poi la frontiera tra i due paesi all’altezza delle alture del Golan è controllata, sul lato siriano, dai terroristi islamisti. Con l’avanzare dell’esercito di Damasco verso questa regione, il governo israeliano inizia a temere possibili rivendicazioni siriane sulle alture del Golan. Il premier in israeliano Netanyahu punta più volte il dito contro presunte infiltrazioni dell’Iran, alleato di Assad, in questa regione. Per tal motivo, negli ultimi due anni, sono decine i raid israeliani compiuti dall’aviazione militare israeliana nel sud della Siria e nella stessa Damasco.
Luca D’Agostini
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Fonti
1) Frank Aker, October 1973, The Arab Israeli War, First Edition Design Publishing, Hamden 1985
2) Haïtam al-Kilany, Les stratégies militaires des guerres israélo arabes : 1948 1988, Centre d’études de l’unité arabe, Beirut 1991
3) Samuel M. Katz, Soldier Spies: Israeli Military Intelligence, Presidio Press, Novato 1992
4) Renato Verna, Operazione Badr, il quarto conflitto arabo-israeliano, Mucchi Editore, Modena 2015
5) Drusi
7) Olga Mattera, Guerra dell’acqua e controllo del Giordano, Limes, n. 4/1995, pp. 103-116
8) Giuseppe Flavio, La Guerra giudaica, Mondadori, Milano 1998, Libro IV, I, I, p. 267
9) Importanza
10) Pulizia etnica
11) Occupazione
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