Alëša Popovič, terzo dei grandi cavalieri russi (e terzo nella foto a destra), rappresenta (con molta ironia) il clero ortodosso. Alëša era il figlio del pope Leontij della cattedrale della grande città di Rostov, dalla quale un giorno partì insieme ad un suo amico Ekim Ivanovič. Diretti nella grande città di Kiev, alla corte del principe Vladimir, i due si accamparono lungo la strada nei pressi di un fiume. Il mattino successivo, dopo che Alëša aveva pregato Dio, mentre sellavano i cavalli si avvicinò loro un pellegrino che disse: ” Ehi, voi prodi e bravi giovani! Vengo or ora dalla steppa, dove ho appena incontrato Tugarin, il figlio del serpente! È alto più di un uomo, ha spalle larghe e poderose, il suo cavallo è come una belva feroce!” Allora Alëša prontamente esclamò: “Presto, viandante! Dammi i tuoi abiti, e scambiali con i miei!” Alëša si vestì con gli abiti del viandante e si fece dare anche il suo bastone da viaggio. Quindi si pose sulle rive del fiume in attesa che Tugarin arrivasse. Tugarin comparve presto ed esclamò: “Ehi tu, viandante! Hai visto per caso dei bogatyri russi, qua intorno? Con la lancia li infilzerò, li infilzerò con la lancia e nel fuoco li brucerò!” Alëša rispose: ” Ehi, Tugarin, figlio del serpente! Non sento quello che dici, fatti più vicino!” Appena Tugarin si avvicinò Alëša lo colpì con il bastone, tanto forte da sfondargli il cranio. Restituiti gli abiti al viandante Alëša ed il suo amico partirono di nuovo per la grande città di Kiev.
Giunti in città entrarono nel salone del principe Vladimir e si inchinarono di fronte a lui ed alla principessa Apraksija. Vladimir disse: “O voi, robusti bravi giovani! Dite con quale nome vi chiamano. Secondo il nome vi sarà dato un posto, secondo i vostri padri vi si darà il benvenuto!” Alëša rispose: “Io sono chiamato Alëša Popovič. Sono il figlio del vecchio pope della cattedrale della grande città di Rostov.” Vladimir accolse allora con grande cordialità i due cavalieri ospitandoli per la cena. Più tardi mentre erano a tavola si spalancarono le porte della sala ed irruppe una sagoma gigante. Alëša fu assai stupito nel riconoscere Tugarin, il figlio del serpente che lui credeva aver ucciso precedentemente. Tugarin si sedette tra il principe Vladimir e la principessa Apraksija. Ma Tugarin non era certo raffinato: divorava pagnotte intere con un boccone e si versava in gola coppe intere di birra. Nel frattempo, non trascurava di allungare le mani sulla principessa, di stringerla a sé e di baciarla sulle labbra. Allora Alëša esclamò: “O tu, grazioso gran principe Vladimir! Che razza di maleducato è entrato qui? Rozzamente siede alla tavola principesca. Alla principessa, il cane, mette le mani addosso, la bacia sulle labbra. Di te, gran principe, si fa beffe!” Tugarin si impadronì di un arrosto, inghiottendolo intero, e Alëša non poté fare a meno di commentare: “Mio padre, il pope Leontij, aveva un cane che è morto soffocato da un osso. Spero che a Tugarin capiti lo stesso!” Poi, quando Tugarin bevve un intero secchio di birra: “Mio padre, il pope Leontij, aveva una vacca che è scoppiata per aver bevuto tanta di birra. Spero che a Tugarin capiti lo stesso!” Voltandosi di scatto, Tugarin lanciò contro Alëša un coltello affilato. Mancò il bersaglio ed Ekim s’impadronì del coltello dicendo: “Glielo vuoi rilanciare tu, Alëša, o lo farò io?” Alëša rispose: “Nessuno dei due, caro Ekim. Domani me la vedrò con Tugarin. Un’altra volta, domani, nella steppa mi batterò con lui!”
Il giorno dopo nel luogo convenuto per il duello Alëša appena vide Tugarin in sella al suo cavallo, sguainò la spada e partì all’assalto al galoppo mozzandogli la testa con un colpo solo. Alëša raccolse la testa di Tugarin e la portò nella grande città di Kiev dove la gettò al centro della piazza. Il principe Vladimir si congratulò con Alëša invitandolo a servirlo e vivere nella grande città di Kiev. Da quel giorno Alëša Popovič entrò a far parte dei cavalieri bogatyri del principe di Kiev. (1)
Un giorno Dobrynja Nikitič dovette partire per andare a combattere in un paese lontano e sua madre pianse nel salutarlo. Poi Dobrynja andò nel palazzo a cercare la sua cara sposa, la giovane Nastasia, la quale si accomiatò da lui con grande tristezza: “Quando tornerai a casa, caro Dobrynja? Quanto dovrò aspettarti?” Dobrynja rispose: “O mia cara Nastasia, aspettami per tre anni, se non ritornerò aspettane altri tre. Se trascorsi questi sei anni non sarò ancora tornato, allora potrai ritenermi morto. A quel punto il tuo volere sarà libero. Vivi da vedova o riprendi marito, prenditi un principe, o anche un possente cavaliere bogatyr russo. Ma l’unico che non dovrai mai sposare è Alëša Popovič.” Purtroppo però il tempo passava e dopo essere passati sei anni Dobrynja non aveva fatto ritorno.
Alëša Popovič di ritorno in città, portò una triste notizia. Disse che Dobrynja Nikitič giaceva morto nella steppa con il capo fracassato. Per il gran dolore, la madre Mamelfa pianse lacrime di sangue. E Nastasia annunciò che prima di riprender marito avrebbe atteso altri sei anni. Allora il principe Vladimir si recò dalla giovane vedova dicendogli: “Come puoi vivere così Nastasia, come puoi trascorrere così la tua giovane età? Prendi un marito, un principe, o un possente bogatyr’ russo, oppure Alëša Popovič.” Nastasia decisa allora di sposare proprio Alëša Popovič.
Ma Dobrynja Nikitič non era morto. Aveva combattuto terribili battaglie a Costantinopoli ed ora stava facendo ritorno a Kiev. Durante il viaggio di ritorno venne a sapere che Nastasja aveva deciso di sposare proprio Alëša Popovič ed era in corso un banchetto di nozze della durata di tre giorni e che il terzo giorno si sarebbero recati in chiesa per celebrare il matrimonio. Dobrynja Nikitič allora spronò il suo cavallo e galoppò senza sosta per giungere alla grande città di Kiev prima del terzo giorno. Giunto in città Dobrynja andò per prima cosa dalla madre Mamelfa e s’inchinò di fronte a lei. La donna stentò a riconoscerlo, in quanto Alëša Popovič aveva diffuso la notizia della sua morte. Felicissima di ritrovare il figlio vivo, lo abbracciò affettuosamente. Dobrynja salutò la madre e andò a vestirsi da giullare recandosi poi immediatamente nella reggia del gran principe Vladimir, dove si teneva il banchetto di nozze. Alëša Popovič sedeva vicino a Nastasia e non perdeva occasione di baciarla e accarezzarla. Facendo finta di nulla, Dobrynja salutò il gran principe, si sedette nella sala e cominciò a cantare una dolce melodia. E cantò tanto bene, che il gran principe lo invitò a tavola con loro e gli chiese che cosa desiderasse in cambio di un così bel canto. Dobrynja rispose subito che avrebbe voluto versare una coppa di vino alla sposa. Avuta la coppa, vi lasciò cadere dentro il proprio anello d’oro e porse il tutto a Nastasia, dicendole: “Giovane Nastasia! Prendi questa coppa con una sola mano e bevi la coppa di un solo fiato: se berrai fino alla fine, un bene vedrai, se non berrai fino alla fine, un bene non vedrai.” Lei bevve la coppa di un fiato e trovò l’anello. Poi si rivolse al principe Vladimir ed esclamò: “Vladimir, piccolo sole di Kiev! Non è mio marito chi siede accanto a me, mio marito è chi sta davanti a me!” Si gettò ai piedi di Dobrynja implorandolo: “Perdonami, Dobrynja! Perdona la mia colpa, la mia stoltezza, perché non ho seguito il tuo ordine ed ho preso Alëša per marito!” Dobrynja scosse il capo e rispose: “Non mi stupisce l’intelligenza femminile, perché le donne lunghi hanno i capelli ma la mente hanno corta. Dove le portano, là esse vanno; dove le guidano, là esse vengono. Mi stupisce piuttosto il gran principe Vladimir, piccolo sole, che ha sposato la vedova di un uomo ancora vivo!” Alëša Popovič si gettò ai piedi di Dobrynja implorando perdono. Dobrynja afferrò allora Alëša per i riccioli biondi, prese la frusta e gli diede tante frustate.
Luca D’Agostini
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Fonti:
(1) Alëša Popovič
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