Nacque in palazzo imperiale e concluse la sua vita in una modesta cella monastica. Conobbe l’amarezza della calunnia, la pace interiore conseguente all’adempimento del messaggio di Dio e la dolcezza nell’assistenza ai sofferenti. Sperimentò su sé stessa le difficoltà di una grave malattia e la gioia di una guarigione miracolosa. E il Monastero Pokrovskij da lei fondato a Kiev, è rimasto un luogo di fede e preghiera anche negli anni più difficili dell’ateismo militante.
La granduchessa Aleksandra Petrovna Romanova, nacque a San Pietroburgo il 2 maggio 1838 con il titolo di principessa di Oldenburg. Suo padre era Pëtr Georg’evič Oldenburgskij (Pietro Giorgio di Oldenburg), figlio della granduchessa Ekaterina Pavlovna. Sua madre era Teresa di Nassau, pronipote dell’imperatore Pavel I (Paolo I).
Fu battezzata con il rito protestante e ricevette il nome di Alexandra Friederike Wilhelmine von Holstein-Gottorp. Il 25 gennaio 1856, si convertì all’Ortodossia assumendo il nome di Aleksandra Petrovna e sposò il granduca Nikolaj Nikolaevič Romanov (detto il Vecchio), che era il suo prozio. Da questo matrimonio nacquero due figli: Nikolaj e Pëtr.
La vita matrimoniale della Granduchessa non si rivelò felice. Come scrisse il conte Sergej Dmitrievič Sheremetev: “Il marito di Aleksandra Petrovna, il granduca Nikolaj Nikolaevič Romanov detto il Vecchio, era degno di un destino migliore, era degno di più attenzione, più calore umano, ma Aleksandra Petrovna non poteva dargli tutto questo. Con lui era dura e sarcastica. Lo spinse via bruscamente, con freddezza inammissibile. Lei aveva sete di attività, cercava popolarità, fingeva di essere una principessa russa, non capiva lo spirito dell’Ortodossia, amava la vanità della carità come uno sport e non come un’attrazione del cuore. Orgogliosa, secca, prepotente, ma anche insolitamente spiritosa e sarcastica, fingeva volentieri di essere umile e semplice. Lei, secondo la sua ambizione, aveva bisogno di un marito dotato di grande mente e forza di volontà“.
Suo marito, era un appassionato del balletto, aveva un’amante, la ballerina Ekaterina Gavrilovna Čislova, con la quale conviveva apertamente e con la quale ebbe cinque. Per giustificare in qualche modo il suo comportamento frivolo agli occhi dello zar Aleksandr II (Alessandro II), dopo dieci anni di matrimonio il granduca Nikolaj Nikolaevič Romanov (detto il Vecchio) convocò il confessore della Granduchessa, il rettore della chiesa domestica del Palazzo Nikolaev, l’arciprete Vasilij Lebedev’ ed accusò pubblicamente sua moglie di adulterio.

Granduca Nikolaj Nikolaevič Romanov (detto il Vecchio)
L’imperatore Aleksandr II (Alessandro II) non cercò di comprendere cosa fosse accaduto e non convocò la Granduchessa per ascoltare le sue osservazioni. Con il pretesto di un trattamento terapeutico, inviò la Granduchessa lontano da San Pietroburgo. Il trattamento in realtà era davvero necessario, in quanto poco tempo prima, la carrozza nella quale viaggiava si era ribaltata e la granduchessa Aleksandra Petrovna subì una grave lesione alla spina dorsale, che successivamente ne minò la salute rendendogli impossibile camminare. Nel 1879, la Granduchessa lasciò San Pietroburgo per sempre e si stabilì a Kiev.
L’imperatore Aleksandr III (Alessandro III), salito al trono dopo l’assassinio di suo padre, la invitò a tornare a San Pietroburgo. Ma in una lettera indirizzata all’imperatore, Aleksandra Petrovna scrisse: “Vivere a San Pietroburgo con la mia grave malattia e con l’umore della nostra casa, con la mia debolezza, è disastroso. L’unica speranza di guarigione è una vita defunta. Vivere a Kiev sarebbe una gioia spirituale per me“.
La granduchessa Aleksandra Petrovna si concentrava completamente sulle opere di beneficenza. Nel 1887, il principe Obolenskij la descrisse come segue: “Appare in mezzo alla corte come una specie di santa sciocca o benedetta. E lo è davvero, e il suo comportamento è genuino. Inoltre, non è solo una santa sciocca, ma una santa sciocca russa, con tutti gli istinti, i gusti e le simpatie della donna russa più semplice. Ma quanto bene fa e come lo fa, solo coloro che ne hanno beneficiato lo sanno. Tutto questo mi sembra così straordinario che sono pronto a pensare che ci sia qualcosa di portentoso in questa eccentricità“.
Il principe non si era sbagliato. In effetti, questa “eccentricità” alcuni anni dopo sfociò nella grande impresa del “monachesimo vivente” – una tendenza che si stava poi diffondendo nel paese e presupponeva non solo la più stretta aderenza alle regole monastiche dei santi Sava il Consacrato e Teodoro lo Studita, ma anche un servizio pratico all’umanità sofferente.
Nonostante i continui e intensivi trattamenti sanitari, Aleksandra Petrovna non poteva ancora muoversi da sola. Costretta su una sedia a rotelle, trovava conforto nella preghiera e nella lettura del Salterio, che chiamava “una fonte di gioia eterna“. Imbevuta dell’idea di “monachesimo vivente”, scrisse in una delle sue lettere: “Il monachesimo vivente è lo stendardo che mi sta tanto a cuore. Nessun voto e nessuna regola monastica ti impedisce di amare il prossimo come te stesso, di servire i malati, di nutrire i poveri“.
“Княжий” монастырь (Monastero “principesco”), questo era il nome del Monastero dell’Intercessione di Kiev prima della rivoluzione del 1917: un monastero unico. Una volta occupava un territorio molto vasto a Lukjanovka sul pendio della pittoresca montagna dell’Ascensione. Ora Lukjanovka è uno dei prestigiosi quartieri centrali della città, ma durante gli anni della fondazione del monastero costituiva la periferia di Kiev. Questo fu il luogo scelto dalla granduchessa Aleksandra Petrovna per fondare il suo monastero.

Monastero dell’Intercessione (Kiev – Ucraina)
Nel 1888, Aleksandra Petrovna iniziò a cercare un posto nelle vicinanze della città per creare un monastero che unisse preghiera e ampia carità. La tradizione vuole che dove ora sorge il monastero vi fosse il giardino di una certa Feodosija Didkovskaja. Il beato Teofilo di Kiev (morto nel 1853), amava pregare in quel giardino. A suo tempo predisse che in quel luogo sarebbe stato creato un “monastero principesco“.
Dopo la morte del marito (13 aprile 1891; il matrimonio non fu formalmente sciolto), Aleksandra Petrovna prese segretamente i voti monastici con il nome di Anastasija. Nel Monastero dell’Intercessione creò un moderno ospedale per i poveri con l’unica sala radiografica presente a Kiev, allestì una farmacia gratuita, una scuola e un orfanotrofio per ragazze, ricoveri per malati terminali e per non vedenti. Grazie alle elevate competenze dei medici da lei assunti, la mortalità durante le operazioni avvenute nell’ospedale del monastero, non era superiore al 4%, un tasso percentuale incredibilmente basso per quel tempo. Nell’ospedale del monastero, Anastasija stessa si sottopose a diverse operazioni alla spina dorsale, al fine di poter stare in piedi e camminare. Pian piano, le sue condizioni di salute migliorarono e Anastasija riuscì a camminare di nuovo. Lei attribuì tale risultato ad un miracolo conseguente alle sue preghiere.
Anastasija viveva in una cella semplice, vendette tutti i suoi gioielli donò tutto il ricavato per il mantenimento delle istituzioni da lei fondate. Svolgeva le funzioni di assistente chirurgo durante le operazioni, sovrintendeva al programma ospedaliero, all’alimentazione e alla vita spirituale dei pazienti, era in servizio presso i letti dei pazienti operati.
La Granduchessa svolse anche un ruolo attivo come rappresentante del Consiglio degli orfanotrofi del Dipartimento delle istituzioni dell’Imperatrice Maria Fëdorovna, che era diretto da suo padre, il principe di Oldenburg. Grazie all’operato della Granduchessa fu accumulato un capitale, con il quale furono sostenuti 23 orfanotrofi che ospitarono cinquemila orfani. Durante la Guerra Russo-Turca, la granduchessa Aleksandra Petrovna organizzò anche un distaccamento sanitario a proprie spese.
Nel 1896, lo zar Nikolaj II (Nicola II) e sua moglie visitarono la “zia Sasha”. L’Imperatore donò una grossa somma privata per l’ampliamento dell’ospedale e ordinò di finanziare annualmente 80 mila rubli dal Tesoro di Stato per il mantenimento del monastero. Alla presenza della coppia reale, fu inaugurata una chiesa consacrata nel nome di San Nicola. Il progetto della chiesa fu realizzato da Pëtr Nikolaevič, il figlio più giovane di Aleksandra Petrovna. Con i fondi donati dallo Zar, nel 1897-1898 fu aperto anche un nuovo edificio ospedaliero e furono migliorate le attrezzature mediche.
Nel 1897, quando la città fu minacciata da un’epidemia di tifo, Anastasija, in altri monasteri di Kiev, riuscì ad organizzare diversi ospedali specializzati.
La “suora reale” morì dopo gravi sofferenze all’ora 01:20 della notte tra il 12 e il 13 aprile 1900. La seppellirono, secondo la sua volontà, nel cimitero del monastero; sulla tomba fu installata una semplice croce di pietra.
Nonostante le due guerre mondiali e la devastazione che ha subito l’Ucraina, il Monastero della Santa Intercessione è sopravvissuto, ed è sopravvissuta anche la tomba di Aleksandra Petrovna. Le monache del monastero e i numerosi pellegrini onorano quotidianamente la memoria della suora Anastasija, granduchessa Aleksandra Petrovna, principessa di Oldenburg.
Per decisione del Santo Sinodo della Chiesa ortodossa ucraina, il 24 novembre 2009 la suora Anastasija è stata canonizzata come santa locale.

Monastero dell’Intercessione (Kiev – Ucraina)
Luca D’Agostini
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Fonti
Zoia Belyakova, The Romanov Legacy: The Palaces of St. Petersburg, Hazar Publishing, London 1994
Charlotte Zeepvat, The Camera and the Tsars, Sutton Publishing, Gloucestershire 2004
К. П. Победоносцев и его корреспонденты: Письма и записки» / С предисловием Покровского М. Н.. — Т. 1, полутом 2-й. — М.-Пг., 1923
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