In questo articolo conosceremo la vita dello scrittore russo più importante del XX secolo: Aleksandr Isaevič Solženicyn. Nacque a Kislovodsk, una piccola località termale del Caucaso, l’11 dicembre 1918 da una famiglia di origine cosacco-ucraina. La madre rimase vedova quando era incinta di tre mesi così Solženicyn non conobbe mai il padre il quale morì in una battuta di caccia ed il quale possedeva molte proprietà terriere e capi di bestiame a nord delle colline del Caucaso. Aleksandr crebbe in povertà con la madre e una zia a Rostov; i suoi primi anni di vita coincidono con la guerra civile russa e le proprietà di famiglia furono espropriate, e trasformate in un kolchoz nel 1930. Il nonno materno fu arrestato dalla GPU (polizia politica) nello stesso anno e scomparve per sempre (si presume morì nel 1932 durante la detenzione). Per la famiglia di Solženicyn furono anni particolarmente difficili. La madre lavorava come dattilografa e vivevano nella periferia di Rostov in un locale di 9 mq. In seguito, lo scrittore russo ha affermato che sua madre combatteva per sopravvivere e non disse a nessuno del passato di suo marito nell’esercito imperiale, né dell’origine socialmente sospetta della famiglia (in quanto proprietari terrieri rientravano nella categoria dei nemici del popolo). Dopo un infruttuoso tentativo come attore teatrale, la madre lo incoraggiò a dedicarsi esclusivamente agli studi: Solženicyn avrebbe voluto andare all’Università di Mosca, ma la salute precaria della madre e le condizioni economiche in cui versava la famiglia non gli permisero di trasferirsi nella capitale, quindi si iscrisse alla facoltà di matematica e fisica dell’università di stato di Rostov (si laureerà nel 1941), e allo stesso tempo frequentò per corrispondenza i corsi dell’Istituto universale per gli studi di Filosofia, Letteratura e Storia di Mosca. “Non volevo dedicare tutta la mia vita alla matematica” confesserà in seguito. “Più di tutto mi attirava la letteratura. Compresi però che la matematica mi avrebbe assicurato il pane quotidiano”. Nel 1940 si sposò civilmente con la prima moglie Nataša Resetovskaja, una sua compagna universitaria. A seguito dell’invasione tedesca fu chiamato alle armi e quindi costretto ad abbandonare gli studi. Inizialmente, a causa della sua salute cagionevole, fu assegnato in un posto lontano dal fronte, ma poi venne trasferito su sua richiesta alla scuola per ufficiali, dove divenne tenente d’artiglieria. Combatté successivamente con valore nella battaglia di Kursk, sul Dnepr ed in Prussia Orientale, guadagnandosi sul campo il grado di capitano. Fu decorato due volte e proposto per l’Ordine della Bandiera Rossa, per avere salvato i suoi uomini in una situazione disperata durante una controffensiva tedesca il 27 gennaio 1945. La madre morì a causa dell’aggravarsi delle sue condizioni fisiche, prostrata dall’eccessiva mole di lavoro e dagli stenti della guerra nel 1944. Il 9 febbraio del 1945, Solženicyn fu arrestato: l’accusa era di propaganda antisovietica per aver espresso giudizi critici su Stalin in una lettera privata ad un suo amico e vecchi compagno di scuola. Fu condotto alla Lubjanka dove venne giudicato da un tribunale speciale dell’NKVD e condannato a otto anni di lavoro correzionale nei gulag e, scontata la pena, a tre anni di confino. Il verdetto venne pronunciato in sua assenza. Dal marzo 1953 Solženicyn iniziò il suo esilio in uno sperduto villaggio nella steppa del Kazakistan. Durante la lunga detenzione sua moglie aveva chiesto ed ottenuto il divorzio. Solo ed abbandonato da tutti i suoi amici di un tempo, si ammalò di tumore allo stomaco ma non gli fu diagnosticato e alla fine dell’anno andò vicino alla morte. Nel 1954 gli fu permesso di essere curato nell’ospedale di Tashkent. Durante questi anni di esilio e (a seguito della morte di Stalin) dopo il ritorno nella Russia europea, Solženicyn, mentre di giorno lavorava (insegnava matematica e fisica nella scuola secondaria), passava le notti scrivendo segretamente.
Scrisse così un romanzo contro il sistema di governo di Stalin, intitolato Šč-854. Nel 1961 alleggerì la prima versione di questo romanzo, tagliandola dei brani e dei giudizi più aspri. Šč-854 divenne per Solženicyn, a seguito dell’attacco condotto pubblicamente da Chruščëv contro Stalin al XXII Congresso del P.C.U.S. (Partito Comunista dell’Unione Sovietica), l’opera in grado di far uscire sé stesso dall’anonimato, e di comunicare al mondo intero la propria esperienza. Decise di far pervenire il manoscritto alla redazione di “Novyj Mir” (“Mondo Nuovo”) perché il suo direttore Aleksandr Tvardovskij aveva espresso la volontà di approfittare dello spiraglio che si era dischiuso per pubblicare delle opere più coraggiose e libere. Solženicyn affidò una copia del romanzo all’ex compagno di prigionia Lev Kopelev il quale lo fece pervenire alla redazione della rivista. Qui il romanzo capitò nelle mani della redattrice Anna Berzer, che era rimasta talmente entusiasta dalla sua lettura da volerlo far pervenire a tutti i costi a Tvardovskij. Una sera di novembre del 1961 Tvadovskij, che si trovava in casa, lesse il romanzo trascorrendo tutta la notte insonne, con la compagnia di un sigaro e di alcune tazze di tè, rimanendone molto impressionato: “mi accorsi subito che era qualcosa di importante, […] quella notte lessi un nuovo classico della letteratura russa”. Tvardovskij volle incontrare di persona Solženicyn e per celebrare l’evento, Tvardovskij volle indossare il proprio abito migliore. Solženicyn si recò, nello stesso mese di novembre del 1961, alla redazione del Novyj Mir, in piazza Stratsnaja a Mosca. Qui un Tvardovskij raggiante non fece nulla per nascondere a Solženicyn il proprio entusiasmo. Sosteneva solamente che l’opera non poteva essere pubblicata col titolo “Šč-854”, e Solženicyn accettò questo suggerimento. Di comune accordo decisero di intitolarlo “Una giornata di Ivan Denisovič”. Tvardovskij scavalcò tutta la trafila burocratica ed inviò una copia del romanzo all’esperto per la cultura di Chruščëv, Vladimir Semënovič Lebedev. Questi diede parere positivo, suggerendo delle piccole correzioni, che non intaccavano comunque minimamente la natura dell’opera, e che furono accettate dallo stesso Solženicyn. Nella residenza estiva del Primo Segretario del P.C.U.S. a Picunda, sul Mar Nero, Lebedev lesse a Chruščëv (che non amava la lettura) il romanzo, che piacque e venne approvato immediatamente. Chruščëv infatti voleva scrollarsi di dosso l’ombra di Stalin, voleva legittimare la sua supremazia, e puntò tutto sulla denuncia pubblica delle azioni compiute dall’ex primo segretario. Il sistema dei campi di lavoro che con Stalin raggiunse dimensioni enormi, e venne costantemente riempito negli anni delle grandi purghe, era a suo avviso un terreno utile per far perdere prestigio alla figura del suo ingombrante predecessore, e fare al contempo crescere la sua credibilità. Il romanzo ebbe un successo strepitoso, tanto che in pochi mesi venne stampato in 800.000 esemplari. Venne anche paragonato alla “Casa dei morti di Dostoevskij” e portò i gulag all’attenzione dell’occidente. Provocò molte reazioni anche in Unione Sovietica non solo per il crudo realismo e la franchezza, ma anche perché era il maggior romanzo di argomento politico nella letteratura sovietica, scritto da un membro esterno al partito, addirittura da un uomo che era stato in Siberia per “discorsi diffamatori” (la lettera su Stalin) su leader politici, senza per questo subire censura.
L’immagine di Chruščëv tra la popolazione sovietica ne ricavò un indubbio beneficio. D’altro canto però, l’ala conservatrice del P.C.U.S. non condivideva affatto simili entusiasmi, ma anzi temeva che un tale gesto avrebbe potuto provocare delle conseguenze molto pericolose sulla stabilità del sistema sovietico. Sono sintomatici gli attacchi che la stampa sovietica cominciò a sferrare nel gennaio del 1963 ai racconti di Solženicyn. Chruščëv allora decise di fare marcia indietro. Aveva capito che le sue aperture avevano scatenato una reazione, che sancì di li a poco la fine della sua vita politica, e decise di porre fine alla breve stagione della destalinizzazione.
Chruščëv venne esautorato dalle sue funzioni il 13 ottobre 1964. Al suo posto venne nominato Leonid Brežnev. Il cambio di potere pose fine alla breve stagione di moderata liberalizzazione delle lettere e delle arti che aveva permesso agli intellettuali sovietici di partecipare criticamente, sia pure entro gli stretti limiti consentiti dalla censura, alla vita pubblica del paese.
Prova successivamente a pubblicare “Padiglione Cancro”, ma la caduta di Chruščёv causa a Solženicyn persecuzione ed ostracismo e la stampa di questo romanzo venne bloccata. Nel 1965 il KGB sequestra molti dei suoi manoscritti. Nel frattempo Solženicyn continua segretamente il febbrile lavoro ad uno dei suoi libri più sovversivi, “Arcipelago Gulag”. Il sequestro di una delle due sole copie del manoscritto da parte del KGB (seguito dal suicidio mediante impiccagione della sua assistente, l’anziana Elizaveta Voronjanskaja che aveva confessato, sotto interrogatorio, il luogo dove era nascosto) lo fece inizialmente disperare, ma gradualmente lo rese cosciente di essere scrittore e testimone di una fase importante della storia russa. Solženicyn comunque ha sempre sostenuto che la sua anziana assistente sia stata uccisa dagli uomini del KGB. Nel 1969 viene espulso dall’Unione degli scrittori sovietici. In “Arcipelago Gulag” oltre alla propria esperienza personale, Solženicyn raccolse le testimonianze di altri 227 ex prigionieri e condusse alcune ricerche sulla storia del sistema penale sovietico. Il saggio tratta delle origini dei gulag all’epoca di Lenin e la vera creazione del regime comunista, descrivendo nei dettagli la vita nei campi di lavoro, gli interrogatori, il trasporto dei prigionieri, le coltivazioni nei campi, le rivolte dei prigionieri e la pratica dell’esilio interno.
Nel 1970 l’Accademia svedese delle scienze conferisce a Solženicyn il premio Nobel per la letteratura per i romanzi “Il primo cerchio” e “Padiglione cancro”. A quel tempo non poté ricevere personalmente il premio a Stoccolma, perché temeva di non poter più ritornare dalla sua famiglia in Unione Sovietica una volta andato in Svezia. Propose di ricevere il premio in una speciale cerimonia all’ambasciata svedese a Mosca. Il governo svedese però rifiutò l’offerta perché tale cerimonia e la conseguente copertura mediatica potevano turbare il governo sovietico e quindi le relazioni diplomatiche con la Svezia. Alla fine Solženicyn ricevette il Premio Nobel nel 1974, dopo essere stato espulso dall’Unione Sovietica. Nel 1973 si sposò una seconda volta con rito religioso assieme a Natalja Svetlova, da cui ebbe tre figli. Il 13 febbraio del 1974 in seguito al ritrovamento da parte del KGB della prima parte di “Arcipelago Gulag”, Solženicyn fu privato della cittadinanza sovietica e venne deportato dall’Unione Sovietica in Germania Ovest in quanto il cancelliere tedesco si dichiarò disponibile ad accoglierlo.
Dopo qualche tempo passato a Zurigo, in Svizzera, si trasferì negli Stati Uniti invitato dalla Stanford University per facilitare il suo lavoro e ospitare la sua famiglia. Decise di andare a vivere a Cavendish, nel Vermont, in un luogo deve nevica spesso, in una casa di legno immersa tra infinite distese di boschi, in quanto voleva il più possibile vedere attorno a sé ambienti in grado di ricordargli l’atmosfera della sua amata Russia lontana. L’8 giugno 1978 gli venne conferita una laurea ad honorem in letteratura dalla Harvard University, al conferimento della quale tenne un famoso discorso di condanna alla cultura occidentale. Davanti a ventimila ascoltatori, dichiarò che la società occidentale era un modello spiritualmente mediocre e che l’oppressione in Russia aveva “forgiato caratteri più forti, più profondi e interessanti di quelli che si possono formare nella prospera e regolamentata vita dell’Occidente”. Durante gli anni passati in occidente Solženicyn diede vita ad un intenso dibattito sulla storia della Russia, l’Unione Sovietica e il comunismo, cercando di correggere quelli che considerava essere i malintesi da parte dell’Occidente. Nonostante l’entusiasmo con cui fu accolto negli Stati Uniti Solženicyn non si sentì mai a casa fuori dalla sua madrepatria e sdegnò l’idea di diventare una star mediatica e di addolcire le sue idee e il suo modo di parlare per adeguarsi al linguaggio televisivo. Fu sempre orgoglioso di essere russo ed era un cristiano ortodosso convinto. Criticò aspramente la televisione e la musica occidentale. Attirò così nei suoi confronti parecchie critiche e venne accusato di sostenere la superiorità della Russia nei confronti delle altre nazioni.
Nel 1989, con la caduta del muro di Berlino, in Russia cade il divieto di pubblicare le opere di Solženicyn e Arcipelago Gulag esce a puntate sulla rivista “Novyj Mir” (“Mondo Nuovo”). Nel 1990 la cittadinanza russa di Solženicyn fu ripristinata e nel 1994, all’età di 75 anni, ritornò in Russia con sua moglie Natalia, che era diventata cittadina statunitense. Il ritorno fu organizzato in modo da restare memorabile. Solženicyn non prese un normale volo per Mosca, ma volle arrivare, simbolicamente, da Oriente, seguendo il corso del sole, con una lenta marcia di avvicinamento alla capitale. Proveniente dall’Alaska, il 27 maggio pose piede a Vladivostok (dopo essersi fermato un momento a Magadan, a baciare la terra dove erano state le baracche e i fili spinati del Gulag) e si mise in viaggio verso Mosca su un vagone ferroviario. Spostandosi lungo la Transiberiana impiegò un mese per arrivare a destinazione: a ogni sosta lo scrittore veniva accolto dalle autorità locali, visitava le chiese, parlava alla gente. La Duma di Stato lo invitò a parlare in seduta plenaria davanti ai deputati, Boris Eltsin lo ricevette al Cremlino.
I loro figli restarono negli Stati Uniti e sono tutti cittadini statunitensi (più tardi il maggiore, Ermolay, ritornò in Russia per lavorare per un ufficio con sede a Mosca di una delle principali aziende di consulenza gestionale). Da quel momento Solženicyn, fedele al suo temperamento, condusse una vita ritirata vivendo con la moglie in una dacia vicino Mosca donatagli dal sindaco della capitale. La sua vecchia casa, in centro, è stata trasformata in un museo ed è diventata la sede della Fondazione che porta il suo nome.
Successivamente la televisione pubblica gli offrì una rubrica settimanale, dalla quale per un anno Solženicyn poté indirizzare i suoi sermoni al paese: pronunciava invettive contro il comunismo, dal quale tutto il suo male aveva avuto origine, contro i democratici, che saccheggiavano le ricchezze della Russia, contro la corruzione dei costumi; e invocava una rinascita dal basso della vita pubblica. Dopo qualche tempo, la trasmissione venne però soppressa perché l’audience era troppo bassa. Nei suoi scritti politici più recenti, Solženicyn si oppone qualsiasi nostalgia per il comunismo in Russia. Difende il patriottismo russo, appoggia apertamente la politica del Presidente Vladimir Putin, condanna duramente la politica di Boris Eltsin e manifesta preoccupazione per il destino dei venticinque milioni di russi negli stati dell’ex Unione Sovietica. Chiede inoltre che venga protetto il carattere nazionale della Chiesa ortodossa russa. Nei suoi ultimi anni di vita, prese posizione a favore della reintroduzione della pena di morte in Russia, iniziativa però sempre respinta dal Presidente Vladimir Putin.
Solženicyn morì di infarto a Mosca il 3 agosto 2008, a 89 anni. Il servizio funebre fu tenuto nel Monastero Donskoy di Mosca e fu sepolto nel cimitero del Monastero, con solenni funerali di stato.
Nel video seguente potete assistere alle immagini dell’incontro del Presidente Putin e della sua consorte con Solženicyn e sua moglie, avvenuto nella casa dello scrittore russo.
Luca D’Agostini
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