Al Capone arrivò al potere grazie a una micidiale combinazione di astuzia e violenza bruta. Desiderava che l’opinione pubblica l’adorasse e che coloro i quali usassero contraddirlo, dovessero fare una brutta fine. Per lui l’omicidio era una consuetudine, una consuetudine che lo fece diventare il re del crimine organizzato di Chicago. Al Capone non era uno sciocco, se fosse stato una persona onesta sarebbe potuto diventare un importante imprenditore, ma come re dell’alcool durante il proibizionismo, non solo divenne più celebre di qualsiasi altro uomo d’affari, ma divenne anche il più famoso gangster del mondo.
Alphonse Gabriel “Al” Capone, nacque a New York il 17 gennaio 1899 ed era l’ultimo dei nove figli dei suoi genitori, i quali avevano nutrito molte speranze per la famiglia quando lasciarono l’Italia per gli Stati Uniti. Suo padre, Gabriele Capone era un barbiere nativo di Castellammare di Stabia in provincia di Napoli, mentre sua madre, Teresa Raiola, era una sarta nativa di Angri, in provincia di Salerno. Ma quando si stabilirono nel quartiere newyorchese di Brooklyn, si scontrarono con la dura realtà. Vissero prima nel rione malfamato di Navy Yard, poi quando Alphonse Gabriel compì dieci anni si trasferirono in un quartiere migliore. I genitori non commisero reati. Il padre lavorava come barbiere e la madre andava spesso in chiesa a pregare. Nulla inizialmente faceva pensare che i figli potessero prendere la strada sbagliata.
Invece, Alphonse Gabriel intraprese la strada della delinquenza molto presto. Entrò in una banda di teppisti, si dedicò ad atti di vandalismo e alle risse. Si distingueva dagli altri suoi coetanei membri della banda. Un giorno vide derubare un’anziana vedova. Alcuni ragazzi del suo quartiere le avevano sottratto una tavola per il bucato. Alphonse Gabriel allora riunì la sua banda, diede la caccia a quei ragazzi e recuperò il maltolto riconsegnandolo all’anziana vedova. I colpevoli del furto furono picchiati violentemente e dopo il pestaggio organizzò una parata per le strade del suo quartiere e si atteggiò a eroe.
Alphonse Gabriel imparò più cose in strada che a scuola. Abbandonò gli studi alla fine delle elementari dopo aver colpito con un pugno il maestro. Insomma, già all’età di dieci anni, crebbe con delle propensioni malavitose.
Cominciò a frequentare le bische e divenne un abile giocatore di biliardo. Iniziò già da adolescente a saper sparare con la pistola. Non faceva altro che combinare guai. Ma contribuiva anche a mantenere la famiglia. Lavorò in una fabbrica di munizioni, in un bowling e in una copisteria. Lavorò anche come buttafuori a Coney Island, in un bar che si chiamava Harvard Inn. Il proprietario era il gangster Frankie Yale, uno dei più spietati killer della mafia newyorchese.

Frankie Yale
Fu in quel locale che Capone assaporò per la prima volta la vita del gangster a New York. E fu proprio al bar Harvard Inn che il bullo Frank Galluccio, difese la sorella Lena dalle avance del diciottenne Capone.

Frank Galluccio
Capone si avvicinò al tavolo di Frank Galluccio e si rivolse a Lena ad alta voce. Le persone sedute al tavolo rimasero sorprese per il linguaggio, infatti Capone disse: “Pupa, hai un fondoschiena da paura, e guarda che è un complimento. Sto dicendo sul serio!” Per difendere l’onore della sorella, Frank Galluccio tirò fuori il coltello e sfregiò Capone alla guancia sinistra con tre coltellate. Da quel giorno fu soprannominato “Scarface” (“lo sfregiato”). Un soprannome che Capone odiava. Si vergognava della cicatrice e la nascondeva col trucco, raccontava che si era procurato la cicatrice in guerra.
Gli sfregi realizzati da Frank Galluccio sul viso di Al Capone (Scarface – “lo sfregiato”)
Gli sfregi realizzati da Frank Galluccio sul viso di Al Capone (Scarface – “lo sfregiato”)
In quegli anni, mentre continuava a lavorare al bar Harvard Inn, Capone conobbe un mafioso italiano naturalizzato statunitense che viveva a Brooklyn, Donato Torrio, meglio conosciuto come Johnny Torrio, il quale divenne il suo modello, l’esempio da seguire.

Johnny Torrio

Giacomo Colosimo (Big Jim Colosimo)
Torrio si trasferì a Chicago per dirigere gli affari del mafioso Giacomo Colosimo, meglio noto come “Big Jim Colosimo”, il quale controllava una serie di bische clandestine e di bordelli. Il cuore delle sue attività era un night club a sud di Downtown Chicago. Johnny Torrio aveva bisogno di un braccio destro forte e astuto, e a tal fine arruolò Capone.
Con l’imminente avvento del proibizionismo, Scarface era l’asso nella manica di Torrio. Molti non avrebbero smesso di bere e questo apriva un nuovo ramo di affari, tutto esentasse.
All’età di diciannove anni Al Capone era già diventato prima padre e poi marito. Sposò una ragazza irlandese di 21 anni, di nome Mae Coughlin, dalla quale ebbe un figlio che fu chiamato Albert Francis.
Nel 1919, con la moglie e con il figlio si trasferì a Chicago. La città non sarebbe più stata la stessa.
Nei ruggenti anni ’20, Chicago era sinonimo di corruzione: vita notturna sfrenata, crimine e alcool a fiumi. Quando il proibizionismo entrò in vigore nel gennaio del 1920, il ventenne Al Capone iniziò combattere, calpestare e uccidere chiunque lo ostacolasse. In pochi anni Capone avrebbe diretto un’organizzazione criminale unica a Chicago. Ma prima aveva ancora qualcosa da imparare dal suo boss, Johnny Torrio.
Torrio era il mentore di Capone. Il boss mafioso apprezzava a tal punto le capacità di Al Capone che arrivò perfino a dire che forse un giorno avrebbe potuto succedergli.
La carriera di Al Capone a Chicago iniziò in un bordello. Lì svolgeva il ruolo di barman e di buttafuori. Quando non era al banco del bar si metteva sul marciapiede ed invitava i passanti ad entrare. In quelle occasioni ripeteva spesso: “Ehi amico, entra che abbiamo delle simpatiche pollastrelle!“. Nel frattempo Al Capone lavorò anche al night club di Big Jim Colosimo.
Con il proibizionismo, Johnny Torrio fiutò affari d’oro. Intendeva mettere su uno spaccio clandestino di alcool nel quale coinvolgere il boss mafioso Big Jim Colosimo, ma Colosimo pensava di essere sufficientemente ricco e di non avere bisogno di un’altro racket.
Con la presenza e il rifiuto di Colosimo, Johnny Torrio non poteva espandersi e allora occorreva liberarsi di Big Jim. Ma qualcuno doveva farlo fuori e così ad Al Capone fu affidata l’organizzazione dell’omicidio. Scarface allora ingaggiò il suo vecchio datore di lavoro, il proprietario del bar Harvard Inn, Frankie Yale il quale era anche un’abile e spietato killer. Big Jim Colosimo fu assassinato nell’atrio del suo night club nel maggio del 1920. Lo stile di questo omicidio diverrà il marchio di fabbrica di Capone: omicidi pianificati nei minimi dettagli e con la presenza di testimoni che soffrono di improvvise amnesie.

Omicidio di Big Jim Colosimo
Ora Torrio e Capone erano i padroni e potevano fare soldi con l’alcool clandestino. Torrio cercò di addolcire le asperità di Capone. Gli fece frequentare una scuola serale per migliorare la sua dizione ed eliminare il suo forte accento di Brooklyn. Le persone che lo conobbero più avanti nella vita raccontarono che non aveva più alcuna inflessione dialettale. Su suggerimento di Torrio, Capone abbandonò gli atteggiamenti da bullo di strada ed acquisì comportamenti molto distinti. Da questo punto di vista il lavoro di Johnny Torrio fu enorme. Alla fine vi riuscì e Al Capone non desiderò più che si pensasse di lui come a un criminale. Si riteneva oramai un gentleman con la passione per l’opera e per gli oggetti più raffinati. Divenne una persona molto elegante per quei tempi. Il giallo e il verde erano i suoi colori preferiti e a questi aggiungeva come cappello un fedora biancolatte. Al mignolo portava un anello con diamante da 11 carati e mezzo che all’epoca costava 50 mila dollari. Sotto gli abiti indossava solo biancheria intima italiana di seta. Era alto 169 cm e pesava 79 kg. Era sempre circondato da cinque guardie del corpo.
Il padre di Al Capone morì nel 1920 e allora Scarface decise di trasferire tutta la famiglia a Chicago. I Capone vivevano in una grande casa di 15 stanze. Fece entrare i suoi fratelli nel racket e sistemò le sorelle.
Fuori dalla famiglia Capone era molto diverso. Era sempre infedele verso la moglie. Amava il sesso e lo consumava con diverse prostitute. Beveva molto alcool e si assentava lontano da casa per lunghi periodi di tempo. La sua vita era altrove non in casa sua.
Al Capone comprese che per fare affari a Chicago occorreva una tregua nella guerra tra bande. Così, nel 1922 su iniziativa di Johnny Torrio, i capibanda si accordarono per la pace. A tutti sarebbe spettata una fetta della torta. Questa strategia trasformò lo spaccio clandestino di alcool in un redditizio affare. I proprietari dei locali erano costretti a comprare la birra di Capone. Se non la compravano, i suoi uomini tornavano e minacciavano il proprietario. Facevano pressione tornando più volte e alla fine se questo non cedeva mettevano una bomba fuori dal locale facendo saltare le vetrine. Non contenti, offrivano di prestare i soldi per le riparazioni. Diveniva inevitabile accettare e così si entrava in affari con Capone.
Secondo le stime del governo statunitense, le organizzazioni criminali guadagnavano in media ogni anno 120 milioni di dollari con la vendita clandestina dei liquori, con la prostituzione e il gioco d’azzardo. Il crimine era strutturato come un’azienda, ogni uomo aveva una specializzazione: c’era chi riparava i camion, chi distillava l’alcool e chi dirigeva le fabbriche di birra.
Al Capone neutralizzava la legge corrompendo poliziotti e politici. Scarface stimò che metà della polizia di Chicago lavorava per lui. Così si facevano gli affari, senza protezione non si faceva nulla.
Nel 1922 Capone passò agli onori della cronaca di Chicago. Nelle prime ore del 30 agosto fu arrestato dopo una notte di piaceri e vizi. L’auto che guidava tamponò un taxi. Capone infuriato scese e minacciò il tassista con una pistola e gli mostrò anche un distintivo falso della polizia. Quando la polizia giunse sul posto, Capone fu arrestato. Si vantò con gli agenti che avrebbe sistemato tutto lui e così avvenne. Le accuse furono ritirate e la notizia si diffuse in fretta. La sua leggenda stava crescendo.
A soli 23 anni Al Capone diventò socio di Johnny Torrio al vertice del mondo del crimine. La produzione e lo spaccio di alcolici cresceva di pari passo con l’avidità. Nel 1923 la pace tra le bande negoziata sotto Torrio andò in frantumi. Scoppiò la famosa guerra della birra di Chicago, i giornali non parlavano d’altro, da settembre a dicembre si moltiplicarono morti e bombe. I nemici di Capone persero la vita.
Durante tutto il proibizionismo a Chicago furono uccise 700 persone legate allo spaccio di alcolici. Torrio e Capone vinsero il primo round della guerra tra bande. Ristabilita la pace Johnny Torrio decise di fare una crociera di 4 mesi. Lasciò a Capone il comando, dandogli licenza di diventare l’uomo più potente della città.
Il 1924 portò molte novità per Capone. A Chicago la corruzione diventò più difficile quando fu eletto il nuovo sindaco. Nonostante non approvasse il proibizionismo, il sindaco lo fece rispettare. Al Capone cercò quindi nuove opportunità di sviluppo nei sobborghi, a partire da Cicero.
Cicero fu un trampolino ideale per la banda di Capone, era un quartiere dormitorio per 60 mila operai. Dalla sua base, situata all’interno dell’Hawthorne Hotel, Capone operò di comune accordo con i poliziotti locali. Scarface influenzò le elezioni comunali di Cicero. I suoi uomini minacciarono, picchiarono e spararono agli elettori che si opponevano al candidato di Al Capone. Il giorno delle elezioni, il 1° aprile 1924, il candidato di Capone vinse, ma Scarface subì un colpo terribile. Il fratello Frank Capone fu ucciso durante una sparatoria con la polizia. La morte del fratello lo sconvolse e lo trasformo da criminale organizzatore di attività illegali sul modello di Johnny Torrio in un gangster disperato e violento.

Frank Capone
La perdita del fratello gli fece capire che anche la sua vita era appesa un filo. Una settimana dopo la morte di suo fratello, Capone inaugurò la prima sala scommesse di Cicero, la Hawthorne Smoke Shop.

Hawthorne Smoke Shop (Chicago)
Al Capone non aveva mai avuto fortuna con i cavalli, ma quando si impadronì di una lauta fetta dei profitti delle corse, le cose cambiarono in quanto cominciò a truccare le gare.
Capone e il suo socio Johnny Torio gestivano 160 bische clandestine e 123 saloni solo a Cicero. Un giornalista coraggioso, Robert Saint John, sul suo giornale fece i nomi delle autorità cittadine sul libro paga del gangster e descrisse minuziosamente un bordello con camera della morte diretto da Ralph, uno dei fratelli di Al Capone.

Ralph Capone

Robert Saint John
Il giornalista in seguito dichiarò: “Naturalmente divenni un nemico dei Capone. Una mattina, mentre stavo andando in redazione, alzai lo sguardo e vidi una grossa automobile scura che piombava rombante sull’incrocio, frenò bruscamente e inchiodò. Dall’auto scesero quattro uomini. Riconobbi subito Ralph Capone, mi corsero dietro e puntarono dritti su di me. Ero a metà dell’incrocio, non avevo via di scampo. Allora mi buttai per terra, mi chiusi a riccio e mi protessi la testa con le braccia. Mi pestarono violentemente, usando una saponetta dentro un sacco di lana. Questo era uno dei sistemi di pestaggio preferiti da Capone. Se ti arrivava un colpo ben assestato sul volto o sul collo posteriore, la morte era certa“. Quella volta però non funzionò. Robert Saint John sopravvisse e fini all’ospedale. Il giornalista dichiarò: “Quando fui dimesso, mi recai alla cassa per pagare il conto dell’ospedale, ma la cassiera mi disse che era già stato pagato. Io le dissi che ci doveva essere un errore, che non era possibile. Lei insistette e mi descrisse l’uomo che lo aveva pagato. Mi disse che quell’uomo aveva una cicatrice evidente sulla guancia sinistra“. Era Al Capone. Ma al danno si aggiunse anche la beffa. Scarface comprò una quota importante delle azioni del giornale sul quale scriveva Robert Saint John, il “Cicero Tribune“.
La presa del potere di Capone nei sobborghi fu più semplice. A Chicago Heights, aiutò i gangster locali a vincere la loro guerra di bande. In cambio riuscì ad allargare il commercio illegale di alcolici. Si valuta che Chicago Heights valesse 36 milioni di dollari per Capone. Avendo la gente di Chicago Heights dalla sua parte, la sua rete criminale era praticamente raddoppiata. Mentre Johnny Torrio era in crociera, Capone ampliò le sue attività, formò nuove alleanze e raccolse i profitti.
Quando Torrio tornò, qualora avesse avuto qualche dubbio sulla sua successione, comprese chiaramente che Al Capone era il suo degno erede. Contrariamente però a quanto sperato e voluto da Torrio, Al Capone aveva ripreso a comportarsi come un gangster di strada. Ed infatti, quando il suo contabile Jack Guzik si lamentò di essere stato trattato male da un distillatore, Al Capone scaricò personalmente un caricatore intero nella testa del colpevole, a bruciapelo e di fronte a tre testimoni, i quali interrogati dalla polizia dichiararono tutti che non ricordavano cosa fosse accaduto. Al Capone si presentò alla polizia dichiarando che il giorno dell’omicidio lui era fuori città e la fece franca ancora una volta.
Ma il problema principale di Capone era un gangster del North Side con la passione per i fiori, Charles Dean O’Banion, un criminale irlandese naturalizzato statunitense che gestiva tutto il commercio dei fiori. O’Banion era ricco e potente, ma voleva di più.

Charles Dean O’Banion
Ma O’Banion commise un errore fatale quando tentò di imbrogliare Capone il suo socio Johnny Torrio. La mattina del 19 maggio 1924, Torrio fu arrestato in una retata anti alcolici di cui O’Banion era al corrente. Torrio era nei guai, ma avrebbe avuto la sua vendetta. Ancora una volta entrò in scena il sicario newyorchese Frankie Yale. Insieme a lui agirono due Killer di Chicago. Decisero di uccidere O’Banion il 10 novembre 1924, quando era impegnato a preparare i fiori per il funerale di un gangster. Quando i tre sicari entrarono nel negozio di fiori, O’Banion allungò la mano per stringere quella di Yale, ma il killer gliela tenne ferma mentre gli altri due lo riempivano di piombo. Fu la fine di O’Banion e l’inizio di una sanguinosa guerra tra bande.
Nel gennaio del 1925, due uomini di O’Banion, George Clarence “Bugs” Moran e Earl “Hymie” Weiss, tentarono di vendicare il loro capo e quindi di uccidere Al Capone e Johnny Torrio. Non riuscirono a colpire Scarface, ma ferirono Torrio, il quale prima trascorse del tempo in ospedale, poi si riprese ma fu arrestato nuovamente per violazione della legge sul proibizionismo.

George Clarence “Bugs” Moran

Earl “Hymie” Weiss
Con l’arresto ed il cattivo stato di salute di Johnny Torrio, Al Capone divenne il capo indiscusso della banda. Aveva solo 26 anni ed ora era l’unico bersaglio dei suoi avversari. Si blindò in una nuova base operativa, ritenuta più sicura: il sontuoso “Metropole Hotel”, provvisto di vie di fuga segrete. Non si separava mai dalla sua scorta, aveva più guardie del corpo del presidente degli Stati Uniti. Disponeva di una limousine che era un carro armato, pesava 7 tonnellate era blindata e aveva vetri antiproiettile.
Al Capone ora disponeva del potere assoluto e lo usò senza rimorsi. Scarface esportò la sua violenza a New York. Tornò nella Grande Mela per portare il figlio da un medico e già che c’era fece un regalo all’amico Frankie Yale, massacrando tre suoi nemici. Capone e i suoi furono arrestati, ma come al solito nessuno dei testimoni parlò e le accuse furono ritirate.
Scarface tornò a Chicago nel 1926, la guerra tra bande infuriava ancora. Il 27 aprile 1926 Capone guidò un assalto contro una banda rivale: all’esterno di un bar di Cicero scatenò l’inferno con continue raffiche di mitra. Bilancio: 3 morti e 3 feriti. Tra le vittime c’era il giovane procuratore William H. McSwiggin, che in passato aveva accusato Capone di omicidio. Lo sdegno fu unanime e Al Capone sparì.
Si nascose a Lansing, nel Michigan, rinchiuso in una piccola villetta insieme all’amante per tutta l’estate. Dopo un po’ iniziò a trattare con le autorità dello stato dell’Illinois e si consegnò a loro. Ma anche in questo caso la fece franca.
Tornò a Chicago, si recò in tribunale, poi in prigione ed infine in una stazione di polizia. Chiese se c’era qualche giudice, poliziotto o ispettore che intendesse arrestarlo. Logicamente tutti negarono e Capone rimase soddisfatto soprattutto perché si era portato dietro un giornalista per dimostrargli che non era ricercato a Chicago.
Ma qualcuno non si fece intimidire. George “Bugs” Moran e Earl “Hymie” Weiss tentarono di uccidere Capone più di una volta durante l’estate del 1926. Il tentativo più spettacolare si verificò a settembre: Capone pranzava al Hawthorne Restaurant, quando una rumorosa colonna di dieci macchine giunse di fronte alle vetrine del ristorante. Partirono le raffiche e la sua guardia del corpo, Frankie Rio, lo spinse a terra proteggendolo con il suo corpo e tenendolo a terra tutto il tempo della sparatoria. Alla fine furono sparate più di 5 mila pallottole, che frantumarono il ristorante ma non procurarono alcuna vittima.
Al Capone pagò il conto dell’ospedale dell’unico ferito, poi pensò a come liberarsi di Weiss e Moran. Scarface fece prendere in affitto ai suoi uomini delle stanze che si affacciavano sulla base di Weiss e Moran. Quando un giorno videro Weiss attraversare la strada, gli spararono dalle finestre e lo uccisero.
Moran assunse il comando della banda del North Side. Capone gli inviò le condoglianze per Weiss, negando ogni coinvolgimento nel suo assassinio e riuscì a stabilire una tregua con Moran, dicendogli: “Ce ne è per tutti, perchè dobbiamo ucciderci reciprocamente“.
A 27 anni il potere di Al Capone nel mondo della malavita cresceva, ma lui desiderava essere considerato un uomo d’affari e non un gangster. Controllava un impero multimilionario, non se ne andava in giro a sparare col mitra alla gente da un’auto in corsa, lui se ne stava nel suo ufficio circondato dai suoi dirigenti. I telefoni sulla sua scrivania squillavano in continuazione. C’era sempre qualcuno che attendeva una sua decisione. Al Capone era un criminale moderno.
Il 1927 iniziò bene per Al Capone, infatti in seguito l’ufficio del procuratore valutò che quell’anno l’organizzazione di Capone aveva guadagnato 105 milioni di dollari, tutti provenienti da attività illecite. Il suo amico, Big Bill Thompson fu rieletto sindaco di Chicago. La città era virtualmente nelle mani di Capone, il quale poteva rilassarsi un po’, portò suo figlio alle partite di baseball, effettuò allenamenti per la preparazione pugilistica.
Dichiarò che aveva bisogno di distrarsi. Così nel gennaio del 1928 comprò per 40 mila dollari in contanti una villa da 14 stanze sull’isola di Palm, vicino a Miami, in Florida. Ne spese altri 100 mila per farne il suo paradiso, ma non bastava per tenerlo lontano dai problemi che stavano nascendo nella sua banda. Al Capone venne a sapere che il suo sicario preferito di New York, Frankie Yale, rubava dei carichi di alcool. Per Capone la lealtà era fondamentale e si sentì tradito. Yale aveva ucciso spesso per Capone, ora toccava a lui essere eliminato. Il 1° luglio 1928 a New York, Yale fu braccato e giustiziato dai sicari di Capone.
A Scarface era rimasto ancora un rivale George Clarence “Bugs” Moran. Moran dirottava il suo whisky e Al Capone era stufo. Così alla fine di dicembre andò in Florida per pianificare quello che sarebbe divenuto il suo crimine più celebre: il massacro del giorno di San Valentino.
La mattina del 14 febbraio 1929, Moran non era ancora arrivato nel suo magazzino, sito al 2122 di North Clark Street. I suoi uomini lo aspettavano per un carico di whisky. Arrivarono invece degli estranei, tre in divisa da poliziotto e due in borghese. I sette uomini di Moran pensarono ad una retata della polizia. Così, consegnarono le armi, misero le mani in alto, si girarono di spalle e poggiarono le mani contro il muro. In questa posizione furono massacrati dagli spari dei mitra Thompson dei sicari inviati da Al Capone.

Massacro del giorno di San Valentino (nelle foto a destra: in alto Al Capone e in basso Bugs Moran)
“Bugs” Moran fu il solo superstite; una vittima gli somigliava moltissimo e vestiva proprio come lui. Probabilmente fu uccisa al suo posto e per questo motivo i sicari di Al Capone non attesero il suo arrivo.
Scattarono le indagini e il dito fu puntato su Al Capone. Ma Scarface aveva un alibi di ferro: era in Florida a colloquio con il procuratore distrettuale di Miami.
Moran fu terrorizzato da questo massacro e comprese che la prossima volta non sarebbe sfuggito a tale furia. Immaginò che i sicari, delusi dall’aver fallito l’obiettivo erano ormai alle sue costole e quindi avrebbe avuto le ore contate. Fu così che Moran, fece perdere le sue trecce e sparì nel nulla. In seguito, dopo molti anni, Moran fu arrestato il 6 luglio 1946 e fu condannato a 20 anni di carcere. Morì il 25 febbraio 1957, all’età di 63 anni, mentre era richiuso nel carcere di Leavenworth, nello stato del Kansas.
Per quanto riguarda il massacro del giorno di San Valentino, senza testimoni il caso era chiuso. Gli esecutori della strage non furono mai individuati e puniti.
Però, dopo un fatto del genere, che sconvolse terribilmente l’opinione pubblica statunitense, per Capone non c’era più via di scampo: sarebbe diventato il bersaglio della legge e anche della malavita.
Lo sdegno suscitato dal massacro di San Valentino si era appena attenuato quando Capone colpi di nuovo. Nel maggio del 1929, Scarface venne a sapere i sicari John Scalise e Albert Anselmi, insieme ad un terzo uomo, complottavano per assassinarlo.

I killer John Scalise (a sinistra) e Robert Anselmi (a destra)
Capone li invitò a cena. Organizzò un eccellente banchetto in loro onore. I tre sicari passarono una serata magnifica. Finita la cena, Al Capone si alzò in piedi, ribaltò i tavoli e li accusò di tradimento. Gli uomini di Capone li massacrarono con le mazze da baseball e poi gli spararono per essere sicuri che fossero morti. I cadaveri furono ritrovati lontano, gettati in mezzo ad alcuni cespugli.
All’improvviso iniziarono i guai per Al Capone. Il risentimento popolare contro di lui cresceva e la sua vita era in pericolo. C’era una taglia di 50 mila dollari sulla sua testa. Capone realizzò ormai di essere in pericolo e pensò che l’unico posto dove avrebbe potuto essere al sicuro, era una prigione lontana da Chicago dove trascorrere qualche giorno per riorganizzarsi. Pianificò così come venire arrestato. Il 16 maggio 1929, uscendo da un cinema di Philadelphia, Al Capone e le sue guardie del corpo furono arrestate per possesso abusivo di armi da fuoco. Il piano andò all’aria perché il giudice fu molto severo: lo condannò a un anno di prigione. Al Capone le provò tutte per uscire prima, dalla corruzione alla beneficenza, ma non funzionò.
Dovette accontentarsi di dirigere la banda via telefono, uno dei privilegi che aveva in prigione. Da Chicago nel frattempo arrivavano brutte notizie: il governo federale aveva l’organizzazione di Al Capone nel mirino. il presidente Hoover voleva Capone dietro le sbarre per molto tempo, continuava a chiedere ai suoi: “Avete incastrato Capone?“

Frank Nitti (il vice di AL Capone)
La “IRC” (“Internal Revenue Code”) stava stringendo le maglie attorno alla sua banda. Mentre Al Capone era ancora in carcere a Philadelphia, suo fratello Ralph fu arrestato a Chicago. Furono arrestati anche il contabile della banda Jack Guzik, fu arrestato anche Frank Nitti il numero due di Al Capone. Furono arrestati tutti per evasione fiscale.
Quando nel marzo del 1930 Al Capone uscì dal carcere, lo attendevano nuovi guai. Era stato appena nominato “Nemico pubblico numero 1” degli Stati Uniti. Ma Al Capone voleva riconquistare la benevolenza della gente nei suoi confronti. Erano gli anni della depressione e lui decise di aprire la prima mensa per i poveri di Chicago, un luogo che dava da mangiare a tremila persone al giorno.
A giugno del 1930 Al Capone perse una delle sue pedine più importanti nella carta stampata: Jake Lingle. Si trattava di un giornalista di cronaca nera e cronaca politica del Chicago Tribune al soldo di Scarface. Lingle fu ucciso da un rivale di AL Capone.
Al Capone prima vendicò la morte del giornalista e poi iniziò a trattare con il suo ultimo nemico: il governo federale.
Il cinema ha lasciato intendere che le attività di Al Capone furono annientate da un gruppo di agenti del Dipartimento del Tesoro. Gli “Intoccabili” guidati da Eliot Ness, in realtà fecero solo un paio di irruzioni spettacolo a beneficio della stampa. Gli uomini della IRC (“Internal Revenue Code”) furono i veri eroi. Legalmente Al Capone era un nullatenente. La casa in Florida era intestata alla moglie, quella di Chicago era intestata alla madre, perfino l’auto era intestata alla moglie. Non teneva agende e non scriveva nulla ma alcuni dei suoi contabili tenevano una contabilità scritta, anche se in codice. Gli uomini della IRC trovarono questi libri contabili e riuscirono a decifrarli.

Il procuratore generale George E. Q. Johnson
Ci vollero cinque anni per mettere insieme tutte le prove. Il 5 giugno 1931 Alphonse Gabriel “Al” Capone Alfonso Capone fu incriminato per evasione fiscale commessa dal 1925 al 1929. Il procuratore generale George E. Q. Johnson sostenne che Capone doveva allo stato più di 250 mila dollari. Al Capone fece tutto quello che era in suo potere per venirne fuori. Assoldò cinque sicari di New York per uccidere il procuratore generale Johnson, ma i killer furono eliminati dai servizi segreti statunitensi.
Al Capone allora cercò di scendere a patti con la giustizia, ma il procuratore generale Johnson non volle saperne. Allora corruppe la giuria ma il procuratore cambiò tutti i giurati pochi istanti prima che iniziasse il processo, il 7 ottobre 1931. Per Capone non c’era più alcuna speranza.
La giuria rimase riunita per 9 ore, dopodiché giudicò Al Capone colpevole di evasione fiscale, non di omicidio, non di sfruttamento della prostituzione, nemmeno di tutti gli altri reati di cui si era macchiato. L’evasione fiscale era l’unico modo per incastrarlo. Al Capone fu condannato a 11 anni di prigione, la pena più severa che si potesse chiedere per evasione fiscale. Capone non si aspettava la condanna ma non perse l’ironia. Uscendo dal tribunale disse ai fotografi: “Approfittatene adesso perché non mi rivedrete per un bel po’ di tempo!“
Capone ricorse in appello ma perse. Fu inviato nel penitenziario di Atlanta, in Georgia, dove condusse una vita migliore rispetto al resto dei carcerati perché disponeva di lussi e privilegi e aveva la possibilità di continuare a governare i suoi interessi anche dalla reclusione. Ma nell’agosto 1934 fu trasferito nel nuovo carcere di Alcatraz, dove ricevette un trattamento più duro e tutti i contatti con l’esterno furono interrotti.
Nel 1938 gli ufficialmente diagnosticata la sifilide, di cui pativa gli effetti degenerativi. Aveva contratto la malattia da una delle tante prostitute con le quali aveva rapporti. La sua mente se ne stava andando, aveva bisogno di cure mediche e nel gennaio del 1939 fu trasferito nel Penitenziario Federale di Los Angeles.
A novembre del 1939 fu rilasciato e fu trasferito allo Union Memorial Hospital di Baltimora. Al Capone fece ritorno in Florida nel marzo del 1940. La sifilide divorò Capone per il resto dei suoi giorni. All’età di 48 anni, il 25 gennaio 1947, Al Capone morì per arresto cardiaco. Il suo corpo fu portato a Chicago per i funerali. Anthony Accardo, che era diventato un boss mafioso ed era un’ex guardia del corpo di Capone, aveva ordinato a tutta la malavita organizzata di partecipare al funerale di Al Capone, e questo nonostante il fatto che fosse morto senza potere e senza più seguaci.
La carriera di Al Capone era chiusa ma la sua impronta sul crimine di Chicago visse ancora a lungo. Al Capone stabilì le basi di quello che è stato il crimine organizzato di Chicago negli anni ’50, ’60 e ’70.
Luca D’Agostini
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