Fuggì dalla Spagna, andò a giocare nella Torpedo Mosca e divenne una spia sovietica.
Nel calcio sovietico non c’erano professionisti, tutti erano dilettanti. Ma ci fu un calciatore, difensore e capitano della Torpedo Mosca, destinato ad entrare nella storia.
Agustin Pagola Gomez nacque il 18 novembre 1922 in Spagna, nella città di Errenteria situata nella regione dei Paesi Baschi. Nel luglio del 1936, la Spagna piombò nella palude della guerra civile. I ribelli sotto la direzione del futuro dittatore Franco, godevano del sostegno dei nazisti e dell’Italia fascista. I repubblicani erano invece supportati da vari frammenti di forze armate basche e catalane, da volontari comunisti provenienti da altri Paesi e dal governo dell’Unione Sovietica. Il governo di Mosca inviò con le navi numerosi esperti militari, navi che fecero ritorno in Unione Sovietica trasportando bambini che fuggivano dalla guerra civile. Per la precisione si rifugiarono in Unione Sovietica 2.800 bambini, i quali iniziarono una nuova vita e furono inseriti nel tessuto sociale del loro nuovo Paese.1
Nell’estate del 1937 la squadra dei Paesi Baschi, nel nome dell’amicizia dei popoli e contro il generale Franco, si recò in Unione Sovietica per giocare 9 partite contro alcune squadre sovietiche. Al termine di queste partite emerse chiara e netta la superiorità tecnico e tattica dei giocatori baschi rispetto a quelli sovietici.1
L’iniziativa dei giocatori adulti, fu in qualche modo ripresa dai giovani calciatori. Così allo stadio della Dinamo di Mosca fu organizzata una partita tra i giovani pionieri sovietici ed i ragazzi che erano fuggiti dalla guerra in Spagna. Le squadre furono accolte in uno stadio completamente pieno, con novantamila tifosi sugli spalti. Prima del calcio d’inizio della partita, il capitano dei ragazzi spagnoli al microfono annunciava: “Salutiamo i nostri amici pionieri sovietici! Siamo felici di essere in Unione Sovietica. Viva Stalin!“1
La partita terminò 2-1 a favore dei pionieri sovietici. I ragazzi spagnoli si misero in mostra per le loro superiori qualità tecniche mentre i ragazzi sovietici si dimostrarono molto più forti fisicamente. Tra i ragazzi spagnoli giocò anche Agustin Pagola Gomez, il quale non aveva ancora 15 anni. Era lui il capitano e fu lui a parlare al microfono ringraziando Stalin prima del fischio d’inizio. Ed era lui ad essere destinato a diventare una grande stella del calcio sovietico.1
Già prima di rifugiarsi in Unione Sovietica, Gomez aveva ottenuto notevoli risultati nel calcio. In Spagna infatti già aveva la fascia di capitano e dirigeva la difesa della squadra under 19 dei Paesi Baschi.
Durante gli anni della guerra fu arruolato nel NKVD, una delle polizie segrete sovietiche. Dopo la guerra, nel 1947, Gomez iniziò a giocare con la Torpedo Mosca, che a quel tempo era la squadra di operai della fabbrica automobilistica che portava il nome di Stalin. Il primo successo l’ottenne vincendo la Coppa dell’Unione Sovietica nel 1949, anche se in campionato i risultati furono meno buoni e la squadra si classificò al quarto posto.1
Il caso che lasciò il nome di Gomez impresso nella memoria di tutti i tifosi di calcio sovietici, si verificò durante il campionato del 1950-51. Durante la partita giocata a Mosca contro la Dinamo Tbilisi, l’arbitrò fischiò spudoratamente a favore della squadra georgiana e la partita finì con il risultato di uno 1-2 a favore della Dinamo Tbilisi. Al termine della partita, i tifosi della Torpedo dagli spalti erano inferociti ed iniziarono un’invasione di campo a caccia dell’arbitro. Gomez afferrò l’arbitro e lo portò di corsa verso gli spogliatoi ed insieme ai suoi compagni riuscì ad evitare il linciaggio del direttore di gara.1
Il 17 gennaio 1952 gli fu assegnato il titolo di Maestro Onorato dello Sport dell’Unione Sovietica. Sempre nel 1952, Gomez sollevò nuovamente la Coppa dell’Unione Sovietica e fu premiato come il miglior calciatore della stagione sportiva. Nello stesso anno Gomez, ormai cittadino sovietico, ottenne la prima convocazione con la nazionale dell’Unione Sovietica durante le Olimpiadi di Helsinki.1
Nel 1954 Gomez giocò pochissimo in quanto molto impegnato in incarichi assegnatigli da quello che sin dagli anni della guerra era il suo vero e proprio lavoro. Agustin Pagola Gomez era una spia sovietica e nel 1954 fu inviato più volte in Spagna sotto falso nome per svolgere delle missioni di spionaggio.1
Nel 1956, in seguito all’amnistia proclamata dal governo spagnolo, Gomez fu inviato in Spagna con le sue vere generalità. Essendo un membro del PCUS (Partito Comunista dell’Unione Sovietica), nei Pirenei Gomez si adoperò per l’organizzazione delle cellule comuniste locali. Poco dopo però fu ritenuto troppo pericoloso dalle autorità spagnole e fu arrestato. Nella stazione di polizia fu sottoposto a tortura affinché rivelasse i suoi piani, ma Gomez non confessò nulla. Fu così rinchiuso in una prigione spagnola.1
L’Unione Sovietica protestò formalmente e molto energicamente costringendo le autorità spagnole a rilasciare Gomez.1
Tornato in Unione Sovietica, Gomez non giocò più a calcio ma si impegno totalmente nell’attività di agente dei servizi segreti sovietici. Fu inviato per compiere alcune missioni segrete in America Latina e quindi di lui si persero totalmente le tracce. Riapparve in Unione Sovietica negli ultimi anni della sua vita.1
Nel 1977 a Mosca si tenne una partita dedicata al 40° anniversario dall’arrivo dei ragazzi spagnoli nell’Unione Sovietica. Prima del fischio d’inizio della partita, Gomez che era sceso in campo con una enorme fotografia della Piazza Rossa tenuta premuta sul petto, l’alzò in alto e poi portò la alle sue labbra baciandola e con voce rotta dall’emozione esclamò: “Si, mi hanno torturato, picchiato, schernito, ma non provavo dolore perchè tu eri sempre nel mio cuore, la mia capitale. La mia Mosca!“2
Ma le torture subite dalla polizia spagnola avevano prodotto seri danni al suo fisico che andarono peggiorando nel corso degli anni, così a causa delle sue critiche condizioni fisiche, Gomez morì a Mosca il 16 novembre 1975.1
Luca D’Agostini
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Fonti
(1) Вива, Сталин!
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